Sfiga. Non c’è termine migliore per descrivere una situazione del genere. Solo, semplice, pura sfiga. Che per alcuni è sfortuna, per altri è sventura, per molti è pure malasorte. Per Marko Pjaca, è solo una serata da gettare nel dimenticatoio, tra i panni sporchi e qualche rimpianto di gioventù che a 22 anni stona. Soprattutto considerato tutto quel talento.
Quando un infortunio è accompagnato da barella e lacrime, qualcosa scatta inevitabilmente. Non è semplice compassione: è qualcosa di più profondo, di più intimo. È un mega abbraccio virtuale che tutti gli juventini gli hanno mandato in quell’istante, come se fosse diventato d’un tratto la creaturina da proteggere, coccolare, a breve svezzare. In fondo, Marko Pjaca era ed è la speranza del domani. Con Rugani, con Dybala. Come lo era Pogba. Giovane e forte, ribelle e sfrontato. Magari vittima un po’ troppo dei suoi doppi passi, ma chissenefrega: il gol al Porto ha scacciato pure quell’inconcludenza di cui si faceva portatore sano. Ecco: ed è qui che dispiace ancora di più. Nei tempi. Nei modi. E nei moduli.
Sarebbe bello pensare che Marko l’abbia sentito, quel lungo e caloroso abbraccio. E sarebbe bello se lo sentisse anche in questi giorni, quando andrà sotto i ferri e ricomincerà un piccolo calvario che lo riporterà alla Juve sicuramente più temprato, ma anche più spaventato. Come si recupera davvero? Col tempo. Eh, vallo a dire ad un ragazzo di 22 anni. Che col tempo ci scherza, ma poi lo sente: figuriamoci in una squadra come quella bianconera, in un’età in cui vorresti spaccare il mondo dalla mattina alla sera. E magari, poi, farti una birra in dolce compagnia.
Il messaggio che Marko dovrà presto assimilare è comunque un altro: ha tempo. Ha tutto il tempo del mondo. Per rialzarsi, per tornare a correre, per continuare a sognare un posto fisso in una squadra dall’immensa storia e dai grandissimi obiettivi. C’è tutto il tempo del mondo perché non è la fine di nulla: è solo un finale, per di più di una stagione appena. C’è tutto il tempo del mondo perché un talento del genere va preservato e sgrezzato, ancora un po’, ma ancora per poco. C’è tutto il tempo del mondo, poi, perché la Juve crede in lui e nelle sue capacità: non l’ha dimostrato l’investimento fatto in estate, l’ha dimostrato l’utilizzo continuo di Allegri nelle ultime partite.
Ecco: adesso la salita sarà atroce, spesso infame, di sicuro toccherà sudare e pregare. Ma è così che si diventa davvero grandi, è così che un crociato guarisce e il carattere si forma. Bisogna tener duro, farsi trovare pronto. E magari, almeno per qualche istante, chiudere gli occhi: lasciar scorrere il tempo e tollerare un po’ di impotenza. È questo, l’effetto della sfiga. O sfortuna, o sventura. O anche malasorte. Insomma, chiamala come vuoi: ma combattila, Marko. Senza mollare.
Cristiano Corbo