Quarto appuntamento stagionale con un diavolo che fa le pentole, ma non i coperchi (leggasi closing), però forte di uno “stellone” addirittura più abbagliante di quello, pur molto luminoso, del quale dispone l’Alchimista bianconero, chiamato stavolta a rielaborare la pozione più credibile degli ultimi tempi per assenza della spezia che riesce a conferirle quella particolarità sovente letale per i malcapitati degustatori.
Il forfait di Juan Guillermo Cuadrado, stante il suo valore intrinseco e la mancanza di un sostituto naturale, che solo molto teoricamente potrebbe essere il “Predestinato”, giacché lo zagrabese, come noto, predilige destreggiarsi sulla corsia opposta, implicherà quasi inesorabilmente una rivisitazione del telaio e, pertanto, l’inserimento di un centrocampista; scelta prodromica tanto all’allestimento di un 4-3-3 quanto a una riedizione del 4-3-1-2, con la scontata presenza di Mario Mandžukić in entrambi i casi.
A meno che, lo Sciamano, in un rigurgito d’illuminazione mattutina…, abiuri le soluzioni più razionali e la congenita avversione a un pur calcolato azzardo, propendendo per una variante del classico intruglio, cioè: il defilamento del sacripante di Slavonski Brod a destra, per far posto sul lato zurdo del campo al giovane connazionale del suo pupillo.
Ben più importanti dell’assetto tattico, e la trasferta in terra friulana l’ha dimostrato chiaramente, saranno la freschezza fisica e mentale; quello stato di grazia e forma sfolgorante il cui avvento, secondo la mitologia elaborata per giustificare prestazioni autunnali davvero scadenti, sarebbe dovuto coincidere con l’ingresso nei giardini di marzo.
La Dacia Arena si è svelata invece un roveto; niente fiori, anzi, opere di bene, per giunta ricevute.
Ma restando in tema, poiché una rondine non fa primavera, al momento è ancora ragionevole ascrivere l’ultima, pessima prestazione, alla fisiologica stanchezza indotta da una molteplicità di impegni ravvicinati che, commista alla tranquillità istigata dalla caduta dell’inseguitrice meno lontana, ha prodotto un pernicioso e forse inevitabile rilassamento generale, nonostante i chiamati alla pugna fossero pressoché i migliori possibili.
Dopo oltre un anno dall’ultima volta che accadde, una divisione della posta e, per giunta, “Fuori le Mura”, come direbbe qualcuno “Ci può stare”, anche perché, a differenza di tutte le altre squadre, la Juventus è sempre attesa con il coltello tra i denti e incrociarla, oltre a permettere, con un’esibizione sopra le righe, la dignificazione di stagioni altrimenti insulse, offre altresì una ghiotta occasione di far bella mostra di sé, a quei pedatori con ambizioni di emersione nel football d’élite.
Il momento è dunque catartico e impone uno spietato pragmatismo, purtroppo sgombero di ogni velleità inerente alla coniugazione di efficacia ed estetica; l’incompletezza di una rosa con qualche spina di troppo e l’endemica fragilità di alcuni petali implica inevitabilmente che per certuni gli “straordinari” siano ormai assurti a regolare ordinarietà, e pure una preclara necessità di amministrare le forze anche nel corso di una gara.
Se non altro, due delle prossime tre andranno in scena nel Sancta Sanctorum, un gradiente sul quale sarebbe pleonastico dilungarsi e dal quale trarre, come sempre il massimo.
L’imminenza, però, veste rossonero, e a dispetto di ogni plausibile e condivisibile circonvoluzione cerebrale volta a stigmatizzare la sciatteria di chi non può più permettersi “Prada”, occorre ammettere che nelle tre precedenti sfilate la difformità d’eleganza è apparsa decisamente meno eclatante rispetto a quanto suggerito dal catalogo.
È, probabilmente, proprio da questa consapevolezza che potrebbe scaturire una tenzone con minori complicanze del previsto; è sicuramente quello che il popolo zebrato si attende.
Augh.