Trecento volte Leonardo Bonucci. Trecento battaglie, fianco a fianco: Leo e la sua Signora. Leo e gli altri due fenomeni. Dallo Shamrock Rovers al Palermo, dai fischi agli applausi: passando per una metamorfosi inesorabilmente bianconera.
Trecento picconate a un Everest nebbioso, quasi insormontabile all’inizio. Invece ora, dopo quei trecento colpi, è il resto a essersi allontanato. Perché Leo si è elevato, ha lavorato: è migliorato. È diventato il simbolo della nuova Juventus.
Spavaldo, consapevole della propria forza, ma sempre affamato. Di una fame che non lascia altro che briciole. Antipatico, proprio per questo, ma capace di trovare stimoli nell’odio degli avversari.
Sono trecento, Leo: sì, davvero tante. Tante come quelle che tu, da una retroguardia che è diventata roccaforte, hai vissuto. Lo hai fatto al massimo, respirando all’unisono con i tuoi tifosi. Seguendo il fiume impetuoso delle loro emozioni, di quelle dello Stadium.
Hai detto a tutti di sciacquarsi la bocca, quella volta a Palermo. La Juve stava tornando, era tornata, nonostante quelli che speravano fosse morte. Stava risorgendo, mentre Bonucci diventava grande. Mentre Leo trovava l’abito perfetto per la sua classe infinita.
Piedi e testa da regista, tempi da difensore: Antonio Conte, da bravo sarto, gli ha cucito addosso il completo perfetto. Gli ha dato un po’ le chiavi della sua Juventus, quella che tanto bramava. E tutta quella fiducia è diventata fame e voglia, per quel ragazzo maldestro che veniva da Bari.
L’ha ripetuto sempre più spesso di sciacquarsi la bocca. Troppe chiacchiere, troppe voci: su di lui, spavaldo e odiato, e sulla sua Juve, di nuovo vincente. L’ha ripetuto allo Stadium, contro la Roma, quando i veleni iniziavano a ribollire.
Come al solito, come sempre, come da storia la Juventus aveva già parlato sul campo. Lo faceva con uno che la Juventus ce l’ha nel sangue, negli occhi, nella testa.
Sarebbe stato juventino a prescindere, anche se fosse nato in un altro universo. È questione di dna: i filamenti del suo sono bianchi e neri.
L’uomo ha tre funzioni realmente vitali: respira, ama e piange. Bonucci respira Juve, ama Juve e piange Juve. La Juve è totalmente in lui, così come ormai lui è totalmente nell’anima bianconera. È un tutt’uno, in cui il confine è talmente labile da essere invisibile.
Bonucci ha anche pianto per la Juve. Lo ha fatto a Berlino, in quella notte maledetta. La notte in cui il sogno è diventato incubo. La notte in cui si è presentato al palcoscenico dei grandissimi. La notte in cui ha capito che, d’ora in avanti, l’obiettivo sarà prenderselo, quel sogno.
E lei, la Juventus, sa che con il suo guerriero a fianco è tutto possibile. Sa che la sua corazza, forgiata dagli anni e pure dal dolore, è abbastanza forte da resistere ai colpi del destino. L’ha saputo respingere, più di una volta, e l’ha modellato a sua immagine.
È pronto a rifarlo: per piangere di nuovo, ma guardando un cielo stellato riflesso in una coppa.
This post was last modified on 18 Febbraio 2017 - 08:31