Uno dei giocatori che più ha usufruito del passaggio al 4-2-3-1 è stato certamente Juan Guillermo Cuadrado. Da jolly a partita in corso, a pedina fondamentale nel nuovo scacchiere tattico di Allegri. L’esterno colombiano ha parlato a La Repubblica. Ecco l’intervista completa.
Cuadrado, ma lei sorride proprio sempre?
“Sono fatto così, e il fatto di essere colombiano aiuta: se i sudamericani sono allegri di natura, i colombiani lo sono più di tutti. Il fatto è che ho vissuto un tempo in cui ho imparato ad affidarmi al sorriso anche nei momenti difficili: l’allegria è una ricchezza, anche se non sempre viene capita. O viene confusa”.
Le capita di passare per un uomo poco serio, superficiale, questo vuol dire?
“Esattamente. Io sono molto serio, ma fin da quando sono arrivato in Italia mi dicevano che non sembrava che lo fossi. Ma non è che se ascolti la musica, se scherzi o se sorridi non stai pensando alla partita da giocare. Gli italiani hanno un’altra cultura, sono concentratissimi, è vero, ma il Brasile ha vinto cinque Mondiali cantando e ballando, no?L’allegria, grazie a Dio, è il mio modo di affrontare la vita con grande serietà e di uscire dai momenti difficili”.
Ad esempio?
“Ad esempio, rimanendo in ambito professionale, quando ti capita di andare troppe volte in panchina. Oppure mi vengono in mente i miei primi periodi in Italia: sono stati molto duri, ero solo un ragazzo, sono stato sei mesi ad allenarmi senza giocare. E mamma mia che freddo che faceva a Udine, io in Colombia conoscevo solo l’estate. E poi ero venuto come terzino, solo che fare il terzino nel campionato colombiano è leggermente diverso che da voi… Io tatticamente non sapevo niente. Però è stato bello vivere anche quei momenti, perché mi sono sempre imposto di non perdere l’allegria e il sorriso. Mi dicevo che se ero lì era per realizzare il sogno che avevo cominciato a sognare quando avevo cinque anni, e che per nessun motivo al mondo avrei dovuto tornare indietro. Ho resistito anche perché io prego tanto, buona parte della mia forza viene dalla fede in Dio”.
Quel terzino un po’ naïf di una volta che fine ha fatto?
“Adesso sono più maturo, devo giocare più semplice, Allegri ha insistito tanto su questo concetto ma per la verità è la cosa che mi hanno detto tutti gli allenatori da quando ho messo piede in Italia, a cominciare da Marino: Juan, fai le cose semplici. Però Allegri non vuole che io perda l’istinto: devo gestirlo con l’intelligenza, piuttosto, ragionare di più, imparare che un conto è essere nella nostra metà campo e un conto è essere nell’altra. Mi applico perché voglio vincere ancora tanto”.
È ambizioso? Non sembra neanche quello…
“Molto, non mi basta mai nulla, non sono uno che si accontenta e cerco sempre un’ambizione nuova. Prima quando perdevo mi massacravo per giorni, adesso ho imparato a superare la sconfitta: tanto il passato non lo cambi. La mia priorità è Dio, poi viene la mia famiglia. Ma sul lavoro non transigo”.
La sua è una famiglia di Colombia povera?
“Avevamo da mangiare, grazie a Dio, e se hai da mangiare sei già un uomo ricco. Avevo un tetto, una famiglia, un pallone e un sogno: cosa potevo volere di più?”.
Giura che non siano i soldi a renderla allegro?
“A me i soldi non hanno cambiato la personalità. Hanno aiutato molto la mia famiglia. Adesso possiamo avere non solo le cose indispensabili. Ma quello che conta è che possono cambiare la vita ad altre persone, ed è quello che sto cercando di fare io con la mia fondazione, la Fundación Juan Cuadrado. Cerchiamo di aiutare i bambini di La Sierra, un barrio di Medellin, non solamente facendoli giocare a pallone. Abbiamo anche una scuola di teatro, una di musica. L’idea è quella di trasformare i piccoli attraverso i valori umani e di insegnargli a dare, oltre che a ricevere, perché che tu abbia i soldi o no puoi aiutare gli altri lo stesso con l’affetto, con l’amore, con l’ascolto, con un consiglio. Anche chi ha meno può dare qualcosa. Il mio sogno è poter costruire finalmente una sede come si deve, con i campi, le aule, i laboratori, l’auditorium. Noi inoltre coinvolgiamo le famiglie, perché accogliere i bambini non basta: se una donna vende il suo corpo e noi non le offriamo un’opportunità, prima o poi tornerà sulla strada e al suo bambino non basterà giocare a pallone nella mia fondazione per recuperare serenità. Teniamo anche corsi di cucito per le donne, proviamo a insegnare un mestiere alla madre per poter dare un futuro al figlio. La fondazione è l’altra mia famiglia”.
E quella vera?
“Sono sposato da quattro anni, da un anno e mezzo è nata Lucia che ha cambiato più di chiunque altro il mio modo di pensare. Ed è la persona che più mi fa ridere”.
Lei fa ridere i compagni cantando e ballando, vero?
“No, adesso il dj ufficiale è Dani Alves. Era quando c’era Pogba che ci studiavamo musiche, danze, esultanze. Io e Paul siamo rimasti molto amici, ci sentiamo spesso. Sto organizzando un’amichevole tra i suoi amici e i miei da giocare quest’estate a Medellin, ovviamente per la mia Fondazione: grazie a Dio, prima o poi quella benedetta sede la farò”.
Ma è proprio necessario organizzare una danza per festeggiare un gol?
“In nazionale, ci diciamo che segniamo quasi soltanto per poter ballare il ballo che abbiamo provato. Funziona, no?”.
E il nuovo modulo di Allegri funziona?
“A me piace perché così gioco di più, ma quello che conta è l’atteggiamento, è la rabbia, è lo spirito di squadra. Higuain che rincorre un avversario è un esempio contagioso”.
Cosa vede nel suo domani?
“Il mio futuro per adesso è qui, è vincere tante cose, poi il seguito lo conosce solo Dio”.
Ma cosa farà da grande?
“Ah, quello l’ho già deciso: sarà insegnare la vita ai miei bambini, alla Fondazione. Quando smetto, torno a Medellin e mi dedico a tempo pieno a loro”.
Medellin, per noi europei, richiama alla mente due parole: Escobar e narcotraffico.
“Ma io sono cresciuto in un paesino sul mare, lontano dalla città. Di Escobar ho cominciato a sentir parlare quando sono venuto via dalla Colombia. Noi bambini vivevamo nel nostro mondo: il pallone, la nuotate al fiume, i pomeriggi in spiaggia, era difficile accorgersi di altro. Soltanto crescendo ho capito che per tutti eravamo il paese della droga, ma per fortuna è un mondo che non ho conosciuto. In ogni caso, adesso la Colombia è molto diversa rispetto a vent’anni fa: c‘è sicurezza, c’è modernità, è un paese nuovo. Venite a vedere di persona, vi piacerà. Davvero, ci terrei”.
Nel frattempo, deve tornare a pensare al calcio: se la Juventus batte l’Inter, ha praticamente vinto lo scudetto?
“Ma cosa dite?”.
This post was last modified on 3 Febbraio 2017 - 12:19