La motivazione può essere semplicemente definita come quanto concorre a determinare il comportamento di un individuo. Nel calcio é spesso trascurata, considerata solo prima del fischio d’inizio, quando i pronostici si sprecano. A fine partita invece tutto si esaurisce al campo, al gioco, ai giocatori. Ripartiamo da Doha, Juve sconfitta e subito le voci che la definiscono battibile si rincorrono. Eppure sta tutto lì, in quella motivazione che inevitabilmente non poteva essere più alta di quella degli avversari. Certo, una squadra in cui l’unica cosa che conta è vincere avrebbe dovuto sfruttare meglio l’occasione di conquistare un ennesimo trofeo, ma la Juve è fatta di uomini, e psicologia insegna che nessun comportamento volontario può essere indipendente dalla motivazione. Quale poteva essere dunque quella dei bianconeri? Mostrare di essere l’Italiana più forte dopo 5 anni consecutivi di scudetto? Mostrare di avere la squadra più forte andando a sfidare un manipolo di giovani con una delle squadre più forti d’Europa? Difficile, o quanto meno deboli per tenere la concentrazione al 100%.
LA VERITÀ
La realtà è che la Juventus quest’anno è di gran lunga una delle squadre più forti d’Europa, e senza nemmeno bisogno di esplicitarlo, la più forte d’Italia. La seconda realtà è che si, è vero, la squadra di Allegri un calo motivazionale lo ha avuto. Le partite contro Milan e Inter ad inizio stagione sono state la premessa all’epilogo di Doha: per quanto la singola partita possa avere importanza storica e possa essere blasonata, non è motivazione sufficiente a svegliare l’appetito della zebra. La consapevolezza di essere la squadra più forte d’Italia, la capacità di vincere senza eccellere nel gioco e la testa della classifica ottenuta con il minimo sforzo non possono non essere evidenti anche ai giocatori. Per sostenere questa argomentazione basta pensare a cosa é accaduto nei pochi momenti in cui la Juve si è sentita colpita nell’orgoglio, in cui ha sentito delegittimato il proprio potere. Esemplificativa la partita di Genova, dove una Juve surclassata ha reagito strapazzando l’Atalanta delle meraviglie, il Torino di Belotti e l’inseguitrice Roma. In questi casi la motivazione era altissima, zittire le voci e dimostrare di essere la più forte.
LA CHAMPIONS
Sia chiaro, il discorso non vuol essere una giustificazione, per essere la Juve bisogna avere la fame che caratterizza i top club e mantenere quel Dna vincente che da sempre é insito nei colori bianconeri. Tuttavia, non si può non considerare che la motivazione più grande in casa Juve sia quella di portare a Torino quella coppa che manca da 20 anni, vista spesso sfuggire dalle proprie mani all’ultima fatica. La vuole la dirigenza per fare quell’ultimo salto di qualità in Europa, la vogliono i tifosi e, soprattutto, la vogliono i giocatori. Dal leggendario Buffon per cui sarebbe il lieto fine più adatto alla sua magnifica storia, ai cuori bianconeri Marchisio, Bonucci e Chiellini, da coloro che sono abituati ad alzarla, Dani Alves, Khedira ed Evra a chi per calibro non può non conquistarla, vedi Higuain. La testa va lì, é inevitabile, poco conta ripetere che il sesto scudetto consecutivo sarebbe un traguardo eccezionale. E allora, per tirare le somme, perché non vedere il bicchiere mezzo pieno? Una Juve che quando vuole sa essere cinica e famelica, una squadra composta da campioni, che guarda a testa alta la vetta d’Europa. Questa è la Juve, non resta che aspettare maggio per vedere a chi il campo darà ragione.