Che il calcio, soprattutto nell’ultimo quinquennio, si sia trasformato in business ormai è risaputo. Tuttavia, ci sono valori che vanno ben oltre un contratto faraonico, come per esempio, l’identità nazionale. Di questo ci siamo illusi: in realtà il denaro è capace di far cambiare pure passaporto. Ma non era impossibile? Non per il Qatar.
Per i Mondiali del 2022, organizzati proprio dall’emirato, nazione senza tradizione calcistica, sarà impossibile allestire una squadra all’altezza. Questa inferiorità è stata subito vista come un problema da risolvere, con l’aiuto, perché no, degli stranieri.
Oggi un pezzo di Qatar si trova nel cuore dell’Europa, a Eupen, sonnolenta cittadina belga di 18mila abitanti a due passi dal confine tedesco, nell’area a maggioranza germanofona. Il club cittadino, da quest’anno nella Serie A belga, è il laboratorio in cui il Qatar costruisce il suo futuro calcistico. La società, di proprietà della Aspire Foundation, è direttamente controllata dallo Stato arabo.
Qui arrivano i «laureati» della Aspire Academy di Doha, una struttura di primissimo livello in cui l’emirato cresce i suoi sportivi migliori, nella speranza che, una volta campioni, cambino bandiera. Atletica leggera, tennistavolo, squash, scherma, golf, nuoto, ginnastica e tiro sono tra gli sport inclusi nel programma della Aspire. Ma è il calcio il vero core-business di questa grande Accademia dello sport nata nel 2004. Il lavoro della Aspire Academy è enorme: visiona e recluta giovani di 13 anni in tre continenti e 18 Paesi.
Come gli emiri siano finiti proprio in quest’angolo di Belgio lo spiega il direttore generale dell’Eupen, Christoph Henkel: «Serviva una federazione nazionale che permettesse di giocare al più alto numero possibile di extracomunitari. Qui basta mettere nella lista di titolari e riserve sei belgi. L’ideale per inserire fino a 12 giocatori dell’Academy, perlopiù africani».
Con lui ed Henkel il Qatar fa sul serio. Per quanto Henkel e Aspire Academy insistano col dire che il programma è filantropico e non ci sia vincolo contrattuale per i giovani africani di vestire una volta cresciuti la maglia del Qatar, non vi è nemmeno la prova del contrario. Intanto, nelle ultime convocazioni per le qualificazioni ai Mondiali del 2018, ben 16 giocatori su 28 erano stranieri naturalizzati. Nessun nome noto al grande pubblico, ma da qui al 2022 c’è tempo.
Nel mirino del Qatar sono finiti Thiago Silva, Verratti e Cavani, anche se, nonostante un contratto milionario, sarà difficile convincere i giocatori a lasciare la propria nazionale. Eppure nel 2003 furono capaci di reclutare tre giocatori brasiliani ignorati dalla Seleçao: Ailton, Leandro e Dede. La Fifa però arrivò puntuale e bloccò tutto.
Il Qatar è uno dei Paesi in cui risulta più difficile ottenere la cittadinanza, con leggi restrittive e limitazioni tali da scoraggiare chiunque. Chi ha madre qatariota e padre straniero non è considerato cittadino dell’emirato ed il doppio passaporto è vietato. Questo limita ulteriormente la possibilità di vedere nascere e crescere campioni fatti in casa. L’intero Paese è popolato da circa due milioni di abitanti, tra questi soltanto 300 mila sono qatarioti a tutti gli effetti.