Nel calcio, come microcosmo delle mondiali tendenze, si assiste all’alternanarsi continuo di epoche e cicli. Mentalità e sistemi il cui risultato si è rivelato spesso vincente, nonostante non manchino esempi contrari. A partire dagli anni ’70 l’Arancia meccanica di Johan Cruijff rivoluzionò il modo di intendere calcio; la creatura olandese, il calcio totale, portò sull’Olimpo l’Ajax; ma non riuscì a fare altrettanto con la nazionale degli oranges, costretta ad arrendersi alla Germania di Beckenbauer. Pronipote di quella filosofia è il recentissimo tiki taka spagnolo, fondato su un esperimento rivoluzionario: il falso nueve. Oggi quel periodo, che tante vittorie è riuscito a produrre, sta issando bandiera bianca.
Il vero 9
Gli anni ’90 avevano prodotto centravanti del calibro di Gabriel Batistuta e Bobo Vieri (per citarne due), per poi perdere un po’ la “cultura” del ruolo. Il Barcellona di Guardiola, vero vate di questa filosofia calcistica, schierava addirittura Messi al centro del proprio reparto offensivo; un giocatore a tratti surreale, ma non certo con le caratteristiche dell’ariete. La tendenza è stata sovvertita completamente. Ogni grande squadra necessita della prima punta. È per questo che i vari Lewandoski, Suarez, Higuain, Dzeko, etc. sono tra i giocatori più determinanti del panorama calcistico. Un attaccante come il Pipita della passata stagione è stato determinante nella cavalcata del Napoli verso il posto in Champions League; permettendogli, figuratamente, di partire sempre con un gol di vantaggio, quello che presto o tardi avrebbe messo dentro l’argentino.
Costante evoluzione
Nonostante la storia fornisca continui esempi di ricorsi storici, non è mai uguale a sé stessa. Infatti, come si può registrare un ritorno al passato, non si può non osservare ciò che porta al futuro. Differente è infatti l’approccio odierno, fondato sull’aggressività del centravanti. Quasi come fosse un mediano d’attacco, la prima punta è il primo giocatore incaricato di infastidire la manovra avversaria. Il numero 9 è e rimane il terminale della manovra offensiva, ma, oggi, è anche l’incipit di quella difensiva. Si veda la cattiveria e il pathos degli attuali attaccanti: il gallo Belotti, in forte ascesa in questa stagione, lotta su ogni pallone, spendendo fino all’ultima goccia del suo sudore, ma riesce anche a farsi trovare pronto sotto porta (già 10 i gol in campionato). Ciro Immobile sta vivendo la sua migliore stagione con 9 centri in 15 partite; anche l’ex juventino ha quella garra che lo porta a rincorrere qualunque avversario.
Perfetta sintesi
Nonostante si possano addurre numerosissimi esempi, uno è il più significativo. Nato in Croazia, classe 1986, Mario Mandžukić è l’emblema del nuovo centravanti. Una cattiveria che nemmeno il numero dei suoi tatuaggi riesce ad eguagliare, spirito di sacrificio degno della Vita da mediano di Ligabue e un killer instict fenomenale. Il numero 17 della Juventus è colui in cui si è sintetizzato il passaggio di testimone da un’epoca all’altra: proprio nel momento in cui Guardiola approdò al Bayern, infatti, decise di non puntare sul croato. Mandzukic, oggi, veste la maglia bianconera e riempie il cuore dei propri tifosi prima con la corsa, con i recuperi o addirittura con le parate, e, solamente dopo, con i suoi gol, spesso dal peso specifico elevatissimo. Il numero 9 è tornato.