È tornata. Ma forse non aveva mai abbandonato il proprio posto. Come una schiaccia sassi, la Juventus riassapora il dolce sapore dei 3 punti. Non che la vittoria fosse mancata più di tanto, ma quando una squadra vince per 5 anni, anche una sconfitta fa notizia. La novità, a voler cercarla, è rappresentata dall’intensità con cui i bianconeri se la sono andati a prendere.
Ritorno al passato
Le critiche sembrano aver prodotto una reazione che non si è limitata ad una semplice profusione supplementare di forze; lontana parente della Juve stanca ed imprecisa di Genova, quella di stasera non ha solamente surclassato gli avversari dal punto di vista fisico, ma ha anche messo quella qualità richiestissima, un po’ da tutti. Una reazione di gioco e di gamba, con Pjanic a dettare i tempi lucidi e organizzati del gioco juventino. Il vero segreto è stato l’avvio, prorompente, che ha spezzato le ali alla Dea. L’Atalanta riesce a produrre meno del solito, forse addirittura sorpresa da questa ritrovata intensità dei padroni di casa. Come se la Juventus abbia deciso di recitare la parte che i bergamaschi avevano assunto nelle partite precedenti di questa stagione: partita di pura voglia e chilometri macinati. La Juve ha dunque giocato come l’Atalanta? No, la Juventus è tornata ad essere sé stessa, almeno per questa sera.
Rapidità e stabilità
I bianconeri vanno ad una velocità completamente differente. Non è solamente il fisico a rispondere decisamente meglio, ma anche e soprattutto la testa. Se contro il Genoa nemmeno erano scesi in campo, stasera “ammazzano” subito il match, non concedendo la possibilità agli ospiti di aggredire il possesso palla juventino. I giocatori sembrano saper prima dove andrà a finire la sfera e cosa sia necessario fare. La dimostrazione della ritrovata stabilità arriva grazie all’unica macchia della partita. Dopo il gol del 3-1 di Freuler, i bianconeri non perdono la testa andando a mantenere la palla distante da Buffon ed evitare così qualunque pericolo. Come dire, la porta inviolata sarebbe stata preferibile, ma anche questa consapevolezza fa bene al morale.
Simboli
Di emblemi da citare ce ne sarebbero. Il primo gol è un inno alla forza fisica; Alex Sandro dribbla secco Conti, lasciandolo sul posto, e conclude con un gran tiro a giro. Il brasiliano riscatta la prestazione, non brillante, in Liguria, offrendo corsa e qualità. Ma l’effige ha il volto cattivo, il peso, la voglia, i tatuaggi, il nome e il cognome di Mario Mandžukić. Il croato ha fatto tutto, un vero uomo ovunque. Se, parlando di un attaccante, il gol (che chiude la pratica sugellando il 3-0) è quasi la cosa meno evidente, vuol dire che la prestazione è stata davvero mostruosa. Quello che ha dato il numero 17 va oltre la tecnica e l’abilità, è sacrificio, è cuore, è passione: tutto ciò che riempe gli occhi e l’animo dei tifosi, più di quanto addirittura possano fare le marcature. Prestazione da uomo prima e campione poi. Sono questi i “problemi” che fa quasi piacere avere, chi farà spazio a Dybala adesso? Ad Allegri l’ardua sentenza, certi della maestria della gestione.