Nella prima parte dell’intervista concessa da Marcello Lippi a JTV, lo storico tecnico bianconero ha raccontato di com’è riuscito a creare un gruppo vincente in casa Juve e i segreti dei suoi successi. Ecco ora la seconda parte del suo viaggio nel passato alla corte della Vecchia Signora.
La Juventus vince l’Intercontinentale e gioca un calcio delizioso. “È stata la squadra più forte del mondo? Avevamo la consapevolezza di aver concluso un ciclo. Mi ricordo che alla fine della partita di Tokyo, quando fischiò l’arbitro, mi girai verso Pezzotti e gli dissi: ‘Ora dobbiamo ricominciare’. La squadra era cambiata, con giocatori come Bokšić e Zidane“.
Sono convinto che nessuno abbia visto quanto fosse bravo, Zidane, come noi in allenamento. Ci mettevamo a ridere, per dei suoi colpi”.
“Mi ricordo che, quando tornai alla Juventus dall’Inter, mi chiamò il dottor Agnelli. Mi disse: ‘Marcello, ti dobbiamo dare una brutta notizia: dobbiamo vendere Zidane. Ci danno tanti di quei soldi… ma stia tranquillo, li reinvestiremo’. E poi: ‘Inizi a pensare a un altro Zidane’. Io, però, risposi di no: non c’era, un altro Zidane. E anche se ci fosse stato, avrebbe dovuto dimostrare chissà cosa, se fosse stato presentato come vice-Zidane.
Nedved è un esempio di juventità: “Secondo me, potrebbe ancora giocare. Meglio di tanti altri (ride, ndr). La cosa che ha fatto innamorare il pubblico di questi calciatori è essere rimasti anche in Serie B”.
Van Gaal, uno che non è di tante parole, a fine partita mi chiamò e disse: ‘Good football, good football’. Lui che faceva un complimento a un avversario era una rarità”.
Il commento su quella Juventus che lo rende più orgoglioso: “Manchester United-Juventus 0-1 con gol di Del Piero, una settimana prima di Tokyo. Alex Ferguson, dopo aver visto la squadra nel sottopassaggio, disse ai suoi: ‘Questo deve essere il vostro punto di riferimento’. L’ha detto tante volte anche a me ed è stata una soddisfazione”.
“Tante volte, poi, sentivo che la Juventus non era la migliore, ma la più forte. Capita che sulla carta non sei la favorita e questo è successo varie volte alla Juventus”.
“Ci sono tante analogie tra me e Allegri: la toscanità, l’amore per il mare, l’essere andati alla Juve a 46 anni e aver vinto subito lo Scudetto. Gli auguro di vincere presto la Champions“.
Dopo la sconfitta contro l’Inter nella gara d’andata: “Se loro sono in testa, vinciamo il campionato”: “Facemmo una partita splendida. Ci sono partite che danno sensazioni, oltre al risultato. Andammo negli spogliatoi, io ero incavolato come una bestia, e mi venne da dire: ‘Se questi sono primi in classifica, state tranquilli che il campionato lo vinciamo noi’. E loro erano d’accordo con me”.
Episodi arbitrali di quell’anno e atteggiamento degli altri: “Andavamo sugli altri campi e i tifosi gridavano di tutto. Li guardavamo, senza dire una parola, ma in noi saliva la convinzione: ‘Adesso vi facciamo vedere noi…’. E succedeva, quasi sempre”.
“Si alternavano alla guida della Juventus. Quando arrivai io, toccava a Umberto. L’Avvocato mi fece solo una telefonata di saluto, perché rispettava l’impegno del fratello. Non veniva a vedere la Juventus, ma poi quando iniziammo ad andare bene si riavvicinò. Il Dottore è stato sempre una figura di grande spessore, sia umano che professionale. Quando morì l’Avvocato, iniziò a far vedere al mondo le sue qualità, messe in ombra. Il rammarico di tutti fu che morì subito, perché il mondo cominciò a capire quanto fosse bravo. Ho sempre avuto un grande rapporto con la famiglia. Nel film, ho visto un abbraccio con Allegra, il giorno del funerale, che mi ha commosso”.
“Andai anche io a Parma, per concludere la trattativa per Buffon e Thuram. Dopo qualche giorno, lessi un articolo in cui Buffon diceva di essere preoccupato per i suoi capelli lunghi. Gli telefonai e lo invitai per un caffè a Viareggio. Gli dissi: ‘Devi stare tranquillo, nessuno ti dirà di tagliare i capelli. Potrai continuare a vivere la tua giovinezza. L’importante è fare le cose seriamente e lavorare bene'”.
“Io ero stato due anni all’Inter e, obiettivamente, avevo avuto dei problemi. Nessuno accettava la mia juventinità. Mi ricordo che dicevano: “Voi alla Juve facevate qua e là…”. Io dicevo: “Alla Juve, vincevamo perché eravamo i più forti di tutti, lavoravamo meglio di tutti e ci facevamo un mazzo così”. Era un continuo parlare di arbitri, ma ero allenatore dell’Inter e non poteva funzionare: durai un anno, infatti”.
“Tornare alla Juventus e vincere uno scudetto che si pensava vincesse l’Inter, onestamente, è stata una bella soddisfazione. Qualcuno dell’Inter disse che il dispiacere maggiore era averlo perso, ma anche che l’avesse vinto Lippi”.
“Il gol di Mijatovic del Real Madrid in fuorigioco. Io ho una mia filosofia: molto spesso, è difficile vincere campionato e Champions. Impazzivo dalla gelosia quando il Real Madrid, per esempio, usciva dalla Champions ai quarti e poi vinceva il campionato. La gente andava comunque in piazza a festeggiare. Noi, invece, vincevamo e limitavamo i festeggiamenti, perché poi avevamo la finale di Champions. La perdevamo e tornavamo a casa tristi, con la coda tra le gambe: non mi sembrava giusto (ride, ndr). Abbiamo consumato tante energie per vincere il campionato, non potevamo non festeggiare. Chi preparava la finale di Champions per un mese, un mese e mezzo aveva qualcosa più di noi”.
“Un’altra è contro il Borussia Dortmund: eravamo molto più forti. Quella partita fu segnata anche dalla sfortuna. Nei primi venti minuti, ci fu annullato anche un gol regolare: era destino…”.
This post was last modified on 3 Novembre 2016 - 00:01