Due rivoluzioni in due anni: quasi obbligate, forse necessarie. Dalle ceneri di Berlino all’alba di una nuova era, quella del sogno che diventa obiettivo, n’è passata di acqua sotto i ponti. Massimiliano Allegri sa bene cosa serve e quanta fatica costi cambiare: l’inizio, disastroso, dello scorso campionato ha insegnato. Quello durante il quale tanti volevano la sua testa, ma qualcuno invitava alla calma.
La qualità di quella rosa – e, chiaramente, di questa – era talmente tanta da rendere quasi naturale una svolta. In positivo, s’intende. Mancava l’esperienza e la mentalità, almeno in tanti. Anche se la presenza di personaggi carismatici come Buffon era una parziale garanzia di crescita. Che, infatti, c’è stata: la Juventus prima s’è ripresa la vetta, poi è diventata praticamente inarrestabile.
La qualità generale ha saputo far fronte alla mancanza di un attaccante capace di garantire un buon numero di reti. E, soprattutto, di essere decisivo nei momenti importanti. Non che Mario Mandžukić non abbia segnato gol importanti, ma in Europa serve un profilo diverso.
Serve qualcuno che sappia cogliere l’attimo, perché la Champions si decide in pochi istanti: basta guardare la doppia sfida contro il Bayern Monaco.
L’imponente campagna acquisti di quest’estate, almeno in parte, supporta questa tesi: la Juventus ha cercato con insistenza un bomber. Da Cavani a Icardi, si sono sondate varie ipotesi, per poi arrivare a Gonzalo Higuaín: uno dei tre centravanti più forti in circolazione.
Una decisione con due chiavi di lettura: da una parte, è segno di ambizioni massime; dall’altra, però, è l’ammissione di aver sbagliato un investimento importante. Mandžukić e Zaza, appena un anno fa, sono costati circa quaranta milioni.
Pur considerando che il costo totale dell’attaccante italiano è sensibilmente inferiore, una cifra del genere è comunque sintomo di decisioni ponderate.
Tralasciando questo, però, arriviamo ai giorni nostri: l’intenzione a Torino, evidentemente, è stata quella di costruire una grande squadra. Che non si costruisce dall’oggi al domani, ma con il lavoro.
Lo stesso Allegri l’ha ricordato e ha invitato tutti a tenere i piedi per terra. Sia prima che dopo la sfida contro la Dinamo Zagabria. Nelle settimane scorse, infatti, in tanti si sono lamentati: qualcuno si era illuso, continuando a usare parole del tecnico bianconero.
L’ideale di grande squadra, in Italia, è il Bayern Monaco o il Barcellona. Oppure il Real Madrid: squadre che vincono sistematicamente tre, quattro, cinque a zero. La Juventus, invece, non è mai stata e mai sarà una squadra del genere.
I bianconeri, infatti, puntano alla Champions League per una via più pragmatica: spazio al singolo, ma in un contesto corale. Tradotto: meno fronzoli, più sostanza.
È questo che rende la Juve una squadra temuta in Europa, anche negli scorsi: è un avversario rognoso. Ed è questo il filo conduttore di questo ciclo. Nonostante l’arrivo di nomi importanti, che potrebbero aver fatto cambiare i progetti.
Non ci vorrà un girone intero, per raggiungere quell’equilibrio: questo è certo. Ma non si commetta l’errore di avere troppa fretta: la stagione si decide da marzo in poi. Un periodo nel quale far fruttare la preparazione estiva, che quest’anno è cambiata. È uno dei motivi di quest’avvio – vincente, ma poco convincente.
Inoltre, va sottolineata l’assenza di Claudio Marchisio: uomo d’ordine ed equilibrio, oltre che buon iniziatore della manovra. Il suo rientro e il suo recupero saranno fondamentali.
This post was last modified on 30 Settembre 2016 - 10:58