Palermo-Juventus era la partita per antonomasia dell’indimenticabile Vladimiro Caminiti. Lo è tuttora, a ventitré anni dalla sua scomparsa e, per chi lo ha conosciuto o si è limitato ad ammirarne la prosa, lo sarà sempre. Ipotizzare come avrebbe descritto l’ultimo atto di questa saga andato in scena nello stadio comunale Renzo Barbera, noto anche con il vecchio nome de “La Favorita”, dall’omonimo parco in cui si trova, è un’impresa ardua e perigliosa.
Forse, ma solo forse, l’avrebbe etichettata come brutta, sporca e cattiva, ma in punta di fatto l’aggettivo qualificativo “brutta” pertiene soprattutto alla prestazione di una Juventus che, come al solito, lontano dalle sacre mura di casa propria offre una versione di sé ampiamente discutibile, per larghi tratti censurabile e complessivamente mediocre.
Un solo goal segnato in ogni escursione fuori porta, a opera di un centrocampista, un terzino e, l’ultimo, per grazia di un’autorete scaturita a seguito di una conclusione senza alcuna pretesa, denotano inequivocabilmente quali e quante siano le difficoltà di proporre un simulacro verosimile di gioco quando il centrocampo, già più tenero della panna per conto suo, deve contrastare avversari molto aggressivi e determinati e, non pago, li agevola con un florilegio di errori tecnici non provocati, solo parzialmente indotti da un atteggiamento imbibito d’incomprensibile sufficienza, giacché, detta concausa, emerge in tutta la sua truculenta evidenza per l’abbagliante assenza di uno spartito quantomeno credibile.
Questa volta, come tante altre in passato (troppe), il favore del risultato obnubilerà la verecondia dell’esibizione, perché l’imperante ipocrisia generale preferirà sottolineare “urbi et orbi” che i campionati si vincono anche razzolando comunque il bottino pieno nonostante l’obliquità di certe giornate; e sarebbe pure vero, se la modestia di certe apparizioni non fosse una deprimente costante in via di ulteriore, perverso deterioramento.
Ora, però, è davvero giunto il momento di sgomberare il campo da un equivoco: ogni squadra esprime sul rettangolo verde le inclinazioni caratteriali più salienti e le idee (quando ci sono) di chi le conduce. Al cospetto della Vecchia Signora i rosanero panormiti dell’ottimo De Zerbi hanno rimediato un figurone perché, a dispetto di limiti anche grossolani, sono riusciti a imbrigliarla tramite una commendevole organizzazione, ben supportata dalla verve e intensità spese per tradurla al meglio delle loro capacità; caratteristiche ormai aliene alla Regina d’Italia, apparsa compagine senz’anima e cuore.
Pertanto, se Madama, come d’abitudine, si è distinta per preclara rinuncia alla ricerca di un risultato più pingue e rassicurante, quantunque tutte le circostanze ne potessero agevolare l’eventuale intento, è stato per scelta certamente non imposta dalla manifesta superiorità degli avversari, ma bensì dalla proverbiale, ostinata prudenza (talvolta paura), dello ieratico e fortunato dispensatore di “halma” e serenità che staziona cogitabondo a bordo campo, senza mai realizzare che la renitenza al gioco coincide immancabilmente con una sofferenza, ingiusta e financo pacchiana, alla luce dei valori a disposizione.
È tempo d’invertire la rotta, di capire che la perseveranza non sempre è una virtù e consapevolizzare quanto possa essere nocivo e pericoloso ascrivere l’occasionalità di certe vittorie ad abilità, anziché alla benevolenza di Eupalla; essa non si può considerare dovuta, anzi, va meritata titillandola con alacre dedizione. Tradotto in soldoni: giocando così si eleva esponenzialmente la possibilità d’incorrere in scivoloni inopinati solo sulla carta.
Perché non indossare anche nello stivale un abito più europeistico, perché? Le peculiarità degli uomini in rosa lo impongono e se questo significasse incassare qualche rete in più, pazienza, ma perdindirindina, solo una squadra bipolare o paranoica potrebbe giocare indifferentemente un calcio attendista o propositivo a seconda della competizione a cui partecipa!
Siccome la Juve non lo è, prepariamoci a un’altra partita di conserva in quel di Zagabria, ove per arginare la foga agonistica delle falangi croate guidate da Željko Sopić non basterà la spocchia pasticciona e pasticciata sparsa in terra sicula, dato che, sia chiaro, la confusione ostentata dalla capolista è solo lo specchio di quella che, più del consueto, governa le decisioni della cosiddetta guida tecnica.
La classifica del torneuccio sorride, è vero, però le modalità d’ottenimento, ovviamente per coloro ai quali importano, non rassicurano. Confermano soltanto le tante perplessità generate dalla controversa sessione di mercato estivo ed è ragionevole supporre che non saranno fugate dal ritorno di colui per il quale si è scatenata una fibrillante e messianica attesa: Claudio Marchisio.
Con tutto il rispetto per il flavescente di Andezeno, non può essere e non sarà, la panacea di tutti i mali.
Augh!
This post was last modified on 25 Settembre 2016 - 15:05