Il deludente esordio della Juventus nell’unica Coppa che conta ha sorpreso solo gli sprovveduti che, per motivi non meglio identificati, vagheggiavano una cavalcata trionfale sino a Cardiff spargendo sale su ogni terreno del Continente e attribuivano al nuovo Siviglia di Jorge Sampaoli il ruolo di mansueta, ancorché innocua vittima sacrificale.
Le responsabilità per la mancata strage dei Nerviónesi non sono certamente ascrivibili alla direzione di gara del sig. Deniz Aytekin, a qualche maligna profezia Maya, al buco nell’ozono, oppure ai temporali riversatisi su Augusta Taurinorum nel pomeriggio, ma gravano, grosse e grasse, sulle spalle di colui che, dall’alto di una soltanto supposta mentalità europea, ha deliberatamente scelto, in ossequio alla sua proverbiale natura di “Prudentone mannaro”, la rinuncia a giocare, in favore di un attendismo sconclusionato e mal gestito da un centrocampo inesistente (che strano!), nonostante fosse supportato dal mediano rivelazione della stagione, cioè: Paulino Dybala.
Chi è solito considerare il bicchiere mezzo pieno a prescindere, dovrebbe prima riflettere sul contenuto, giacché, nel caso fosse il cervello, significherebbe che qualcuno… se n’è scolato metà, quella esatta parte in cui le ridondanti risorse offensive di Madama sono state mortificate da un atteggiamento più consono a una squadra medio-piccola e peraltro in trasferta, che a un’altra con velleità di comandare ovunque e comunque. Un qualcuno che ancora oggi gode di massima stima per un’eliminazione agli ottavi di finale, come si suol dire, a testa alta e sei goal sul groppone
Vero, i Sevillani non hanno mai attentato al perimetro difeso da Buffon ed è sempre stata preclusa loro ogni possibilità di verificarne i riflessi; vero altresì che a dispetto di un’organizzazione alquanto approssimativa, anche nei primi inguardabili settanta minuti la Juve è riuscita a creare pericoli significativi. Però, senza alcuna padronanza del gioco, palesemente farraginoso, affatto esente da errori tecnici non provocati e gravido di preclara insipienza nella fase di costruzione della manovra.
Con gli agognati ingressi in campo di Miralem Pjanić e Alex Sandro, concomitanti all’appannamento atletico degli andalusi, il passo dei bianconeri si è trasformato; il crepuscolare e dilettantistico valzer lento della prima ora si è convertito nel “Progressive Rock” che si sarebbe desiderato ascoltare subito, ad avvenuto spegnimento degli ultimi echi della sinfonia di Tony Britten, ma le percussioni dell’ultimo scorcio di gara, pur indirizzandola verso un declivio più scorrevole, non hanno suscitato la benevolenza di Eupalla, molto accigliata, e giustamente, per la disinvolta trascuratezza con cui la Regina d’Italia si è presentata alla prima serata di gala della stagione.
A scanso d’ improbabili attenuanti e/o perifrasi di maniera, nessun giocatore juventino ha saputo elevarsi oltre una dignitosa sufficienza, anzi, alcuni hanno vistosamente disatteso le aspettative: il clan di coloro la cui caratura, al cospetto di un normale Siviglia si assottiglia, comprende Asamoah, Lemina, Evra, nonché il celebrato Dani Alves, le cui performances, al momento, alimentano solo il rispetto dovuto a Lichtsteiner.
Che due di loro siano pedoni della terra di mezzo, non è un caso; per qualche arcano motivo le dinamiche della sessione estiva di mercato li hanno affrancati dallo status di riserve e innalzati al rango di cotitolari. Ricordiamo male, o per tutti i mesi successivi alla gloriosa estromissione di cui sopra si intonarono allo sfinimento, e naturalmente a testa alta, fescennini volti all’evocazione di alternative?
A che vale disporre del fromboliere dei due mondi in assenza di pedatori con nitidezza di battuta e minimo senso euclideo atto ad armarne la fionda? Ma soprattutto: è così difficile capire che il cammino verso il Santo Graal bullonato richiede cuore impavido e fede cristallina nelle proprie capacità di eseguire uno spartito anche temerario, anziché la sparagnina grettezza di un Ebenezer Scrooge? Evidentemente sì!
Nessuno che ambisca seriamente all’anfora degli eletti si baloccherebbe in autolesionistiche masturbazioni cerebrali volte alle conta dei centesimi, quando potrebbe far saltare il banco con una puntata che altri non riuscirebbero a sostenere.
Purtroppo, il recente passato ha insegnato nulla; la Coppa dei Campioni non è una competizione per ragionieri, ogni errore implica il versamento di un pesantissimo obolo e la capacità di pagarlo con halma, molta halma, non aggiunge meriti al malcapitato di turno (nello specifico, sempre lo stesso).
Così è, anche se non vi pare, ma del resto, “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare“; chi nasce Allegri non muore Cuadrado…
Augh!
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