Ci sono termini e parole che anche se non contestualizzati all’interno di una frase o periodo, vengono immediatamente etichettati dalla mente come positivi o negativi, buoni o cattivi, belli o brutti: fa parte dell’inconscio. Ossessione, spesso, viene accettata come qualcosa di negativo: basti guardare semplicemente una qualsiasi definizione su un vocabolario, le parole usate per definirla variano da preoccupazione, sospetto fino a molestia. Ma tutto questo non ditelo a Jorge Sampaoli, fissato a livelli maniacali con il calcio e con Marcelo Bielsa come centro di gravità permanente o, se preferite, come sua personalissima Stella polare.
Jorge Sampaoli forse in tutti questi anni di carriera da allenatore ha un po’ ridefinito il concetto di ossessione e fissazione. Non ha mai fatto mistero di come Bielsa sia da sempre il suo mito, la sua guida a livello calcistico. El Loco si è fatto conoscere prima in Sud America e poi anche in Europa per i suoi metodi, i suoi schemi, le sue peculiarità e per tutto quello che ne consegue. Sta di fatto che l’attuale ct del Siviglia e prossimo avversario di Champions della Juventus, ne ha ricalcato (almeno in parte) le orme, ma non si è limitato a riproporre schemi e movimenti. Ha portato l’idea originaria ad una nuova evoluzione: perché si che ascoltava svariate volte tutte le registrazioni delle interviste di Bielsa nel suo periodo al Newell’s Old Boys, è vero anche che una volta ha fatto circa 350 km per andare a vedere un allenamento del suo mentore e osservarlo attraverso un binocolo, rimanendone estasiato. Sampaoli ha fatto tutto questo, ma all’idea forgiata inizialmente nella mente di Bielsa, ha aggiunto una cosa fondamentale: la vittoria.
La vittoria in Copa America nel 2015 ai danni della ben più quotata Argentina, lo ha lanciato anche nel mondo europeo dove non era certo così conosciuto. Ma della fama se ne fa poco o nulla, il suo interesse più grande sta nel difendere quell’ideale che lo ha spinto fino a quella vittoria, nonostante fosse contro la sua amata Argentina. Tempo addietro, in una intervista per un giornale cileno locale, disse testualmente: “Mi piacerebbe guidare un gruppo di giocatori tipo in Iran, in Iraq, nel Medio Oriente. Perché sono culture nelle quali la gente si immola per un ideale, sbagliato o meno. Quello che voglio dire è gente che dà la vita per una causa”. Quello stesso ideale che nel 2007 lo spinse a scrivere una lettera di scuse indirizzata a Bielsa dopo aver perso per 0 a 5 contro l’America de Mexico ai tempi dello Sporting Crystal: “Avevo tradito la sua idea di gioco, lo stile”, spiego semplicemente.
Sul braccio ha tatuata una frase dei Los Callejeros, gruppo rock argentino, che dice “No escucho y sigo, porque mucho de lo que está prohibido me hace vivir”. Queste poche parole le ha fatte proprie: quel qualcosa di proibito che lo mantiene vivo potrebbe essere quell’ideale che da molti può essere visto come utopistico o irrealizzabile. O forse c’è una dose di testardaggine che lo convince ad andare avanti, giorno dopo giorno, con la cultura del lavoro e delle idee fatte proprie. Sampaoli per certi versi sembra essere la rappresentazione reale della famosa frase di Bill Shankly, leggenda del Liverpool, in cui disse: “Molte persone credono che il calcio sia una questione di vita o di morte, io non concordo con questa affermazione. Posso assicurarvi che si tratta di una questione molto, molto più importante”.
La sua ossessione positiva per il gioco lo ha portato a crescere di grado in grado, partendo da una piccolissima squadra, l’Alumni de Casilda (definita spesso “la mia squadra” ancora oggi ndr.), fino alla Champions League con il Siviglia di oggi, passando per le imprese storiche con la nazionale cilena nel 2015 e l’Universidad de Chile nel 2011. Ora c’è da esportare un’ideale anche in Europa.
Oscar Toson
This post was last modified on 27 Settembre 2016 - 15:28