La maglia numero 10 nel calcio non è una moda, ma un titolo. Un riconoscimento alle doti tecniche, alla fantasia, all’estro. Perchè no, anche ad una certa dote rappresentativa dei colori sociali. Un premio ambito e doveroso che contraddistingue i campioni, i fuoriclasse, i geni del calcio capaci di cambiare le sorti delle partite più difficili con una delle loro magie, gli stessi in grado di infondere fiducia ai compagni con la sola presenza in campo. Dettano legge i numeri 10, fanno il buono ed il cattivo tempo, ma esaltano ed emozionano come nessun altro. Da sempre. Le eccezioni sono poche, spesso fugaci e dettate perlopiù da abbagli di mercato. Ma in genere, l’epilogo del sogno è cosi.
LA 10, IL SOGNO – Un sogno cullato sin dai primi calci e per tutta la trafila instradata dalle scuole calcio. Una costante ispirazione fanciullesca scaturita dalle gesta tecnico/balistiche dei campioni visti in tv e allo stadio, imitate poi sui campetti di periferia o sotto casa, ma che oggi rischia di perdere tutto il suo fascino, complice il declino di una figura che appariva praticamente intramontabile vent’anni fa: quella del fantasista. Pensiamo alla Juventus, che dopo i recenti miti di Platini, Roberto Baggio e Del Piero, non ha trovato stabilità e soprattutto un vero e proprio custode della maglia più prestigiosa che esiste nel calcio. In verità, dopo Pinturicchio, la diez bianconera ha conosciuto gloria attraverso la breve epopea di Tevez, tuttavia conclusasi prima del previsto col ritorno dell’Apache in Argentina. In seguito, il polpo Pogba ha raccolto la pesante eredità fra non pochi dubbi e qualche incertezza. Il francese era troppo giovane forse? Ancora in attesa della definitiva consacrazione per una maglia cosi importante? Oppure era troppo centrocampista e, insomma, magari anche poco decisivo?
SENTIMENTALISMI E MARKETING – Checché se ne dica, scegliere di attribuire a Pogba il prestigio e l’onore di indossare una maglia che in passato appartenne ai mostri sacri della storia juventina non si è certo rivelata sbagliata sotto il profilo tecnico del calciatore, peraltro già mostruoso. Tuttavia, considerando quantomeno in bilico la sua volontà di sposare il progetto un po’ più a lungo di una sola stagione, apporre sulle spalle dell’asso francese un numero traboccante di storia e responsabilità come il 10 si è rivelata probabilmente una scelta affrettata, sicuramente dal punto di vista sentimentale ed emotivo, e scaturita esclusivamente da logiche di marketing. Del resto, anche per la stagione 2016/2017 lo sponsor tecnico ha spinto per attribuire la numero 10, stavolta a Paulo Dybala, considerato anche dallo spogliatoio l’unico in grado di addossarsi il peso di una maglia cosi importante, con tanto di “benedizione” proveniente dal longevo Alex Del Piero (numero 10 storico dal 1995 al 2012). Soltanto che la Joya non se l’è sentita, di fatto preferendo ancora la casacca numero 21, che pure ha rappresentato campionissimi nella storia bianconera, come Pirlo e Zidane. Ma la 10 è un’altra cosa, è l’eccellenza riconosciuta come tale ovunque e da tutti. Una specie di linguaggio universale nel panorama calcistico, che riconosce la grandezza dei talenti più puri e dei campioni più devastanti, con l’odierna eccezione di un top come Cristiano Ronaldo. Che Dybala stia semplicemente accantonando e/o rimandando un passaggio futuro (ma non troppo) al Barcellona? Che il piccolo argentino non se la sia sentita di “affittare” una maglia come la 10 soltanto per un anno? Una cosa è certa: il marketing potrà anche piangere un po’ a causa di questa scelta, ma il lato romantico del calcio, o quel poco che ne resta, certamente no.
Rocco Crea (Twitter @Rocco_Crea)
This post was last modified on 8 Settembre 2016 - 14:26