È tornato il campionato e, con le sue partite vere o verosimili, è finalmente tornata la Signora acchiappascudi, subito pervicacemente protesa a chiarire che questo deve essere l’anno della tombola; quello volto a proiettare la squadra nella leggenda e i veterani della prima ora nel pantheon delle divinità bullonate.
Le ragionevoli perplessità inerenti uno stato di forma atletica non ottimale, l’attecchimento delle nuove cellule nell’organismo ospite ancora in divenire, le immancabili turbative di un mercato ancora in fermento e foriero di novità sia in entrata che in uscita, commiste al dignitoso calibro di un’avversaria guidata da un ottimo tecnico, storicamente incline a partenze spedite, ammantavano il debutto stagionale di qualche legittima inquietudine.
Affatto casualmente, Capitan Salacca si è affidato alle certezze consolidate, tant’è che tra gli undici iniziali l’unico volto estraneo aveva le fattezze di Dani Alves. Del tutto sorprendentemente, invece, con inusuale sfoggio di coraggio, il demiurgo livornese ha optato per l’ascolto del canto brasileiro su entrambe le fasce relegando il francese superstite in panca.
Scelte ampiamente condivisibili, pur con l’incognita di un centrocampo depauperato dei migliori elementi attualmente in forza, con l’eccezione di Sami “cartadiriso” Khedira, sulla cui tenuta fisica si addensano costantemente nubi gravide di tentennante imbarazzo. Orbene, a onta di ogni preoccupazione, il teutonico non solo si è scorpacciato praticamente tutta la gara, ma è stato financo decisivo nell’indirizzarla in un senso che, scevro di alcuni errori in sede di finalizzazione indotti dalla precaria lucidità generale, sarebbe potuto essere quello definitivo con largo e rassicurante anticipo.
Un grande, anzi, grandissimo aiuto alla reggenza della terra di mezzo l’ha indubbiamente fornito Kwadwo Asamoah, autore di una prestazione autoritaria e pregevole. Certo, la nostalgia per le prelibatezze stilistiche del rodomonte transalpino che governava quelle zolle del campo si è avvertita, sarebbe ipocrita negarlo, ma va dato atto al “ritrovato” ghanese di aver fatto del suo meglio per annacquarla quanto più possibile.
Il terzo sodale del pacchetto mediano, Lemina, pur palesando iniziali difficoltà d’orientamento ha acquisito crescente sicurezza con il trascorrere dei minuti, contrappuntando la propria presenza con tiri dal limite certamente più apprezzabili dei tentativi di lancio. Può e deve migliorare, anche di parecchio.
L’eroe della serata, però, in ossequio a un copione che per come si è dipanato pareva ordito nell’alto dei cieli, è stato senza ombra di dubbio Gonzalo Gerardo Higuaín.
Già…, le piacevoli percussioni con cui Madama aveva fatto appassire la Viola nella prima frazione si erano tradotte in un vantaggio minimo e, pertanto, costantemente a rischio beffa. La sostanziale inoperosità del Gigione nazionale (anche superiore alle attese), nonché la scarsa incisività gigliata, hanno forse illuso chi si era dimenticato che, nonostante la posta in palio, i giochi in corso d’opera sul rettangolo verde rispondevano pur sempre ai criteri del calcio d’agosto.
Infatti, dopo un’oretta di dominio incontrastato, la spia della riserva ha iniziato a pulsare freneticamente; i pentacampeones si sono acquartierati nei pressi della propria area e i medicei, pure in virtù di qualche avvicendamento, diventavano necessariamentepiù intraprendenti. Così, puntuale come una sentenza, dopo l’unico vero tiro effettuato entro il perimetro difeso da Buffon, della cui genesi è peraltro totalmente responsabile Alex Sandro, il tabellone recitava un punteggio di parità.
Lassù, però, qualcuno aveva stabilito diversamente e nel volgere di pochi giri di lancette mister novanta milioni, in appena dieci minuti di partecipazione alla contesa coagulava su di sé l’amore a presa istantanea di tutto lo Stadium con un goal da attaccante di razza, infilando di sinistro la cruna dell’ago. Un’esecuzione difficilissima resa apparentemente facile; il morso del cobra, un goal alla Trezeguet!
Il seguito non spostava più l’esito di un match vinto con merito anche superiore a quanto detto dal risultato finale e non è scorretto affermare che, pur badando principalmente alla sostanza, la Juve ha sfiorato l’ arrotondamento del bottino più di quanto la Fiorentina abbia avvicinato un’altra inusitata parità.
Cosa fatta capo ha, e buona la prima, per tutte le implicazioni a essa connesse. Ed ora, marcia su Roma, per posizionare un altro fagiolo sulla cartelletta del tombolone giacché, a detta del capobastone, il rosario ne conta una trentina. Si può fare, si deve fare, si farà. Con tanti saluti a un torneo già ne-Hi-gua-in.
Augh!