Cusano Milanino, 17 marzo 1939 e la nebbia a far da cornice. Giovanni Trapattoni nasce là, tra i sogni di un calciatore e la realtà di un tipografo. Quello doveva essere il suo mestiere e, in realtà, lo è stato già da 14 anni, quando dopo finite le scuole medie, lavorare era l’unica soluzione in quegli anni di povertà e ricostruzione. Ma, tra la ditta cartotecnica e la famiglia, Giovanni riusciva sempre a ritagliare un po’ di spazio per la sua passione: il calcio.
PASSIONE E TALENTO – Tutto iniziò all’oratorio, quello di San Martino, dove si poteva giocare di sera, dopo una giornata di lavoro e una cena rigenerante di mamma Romilde. E, quando oltre alla passione c’è il talento, i successi non tardano ad arrivare. Il Frassati prima, poi il Cusano, dove Giovanni attira l’attenzione di Mario Malatesta, che gli procura il provino della vita: Rogoredo e subito il Milan con il debutto in Coppa Italia. Il suo nome sul tabellino e un po’ di rammarico, anzi tanto, per non aver permesso a papà Francesco di assistere quel giorno. Poco dopo, il tragico epilogo: Francesco Trapattoni muore a causa di un infarto, lasciando Giovanni in un mare di dubbi. Solo una cosa può farti reagire in questi casi: continuare a portare avanti i sogni. E il debutto in Serie A non manca ad arrivare: 24 gennaio 1960, a Ferrara: Spal-Milan 0-3. E poi le Olimpiadi, lo Scudetto, il Mondiale vissuto e quello saltato a causa dell’infortunio e poi la grande finale di Coppa dei Campioni, a Wembley, tra Milan e Benfica. Una serata storica, una vittoria storica targata Trapattoni, Altafini, Maldini, Rivera. 11 stagioni al Milan recitano: due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, due Coppe dei Campioni, una Intercontinentale. Poi l’addio al calcio, ma solo a quello giocato.
L’ALBA DEL TRAP ALLENATORE – Prima vice, poi allenatore del Milan. E lo promuove Rocco. Il Trap mostra subito il suo carattere, ma decide poco dopo che è tempo di cambiare. Atalanta, Pescara, ma quel consiglio di Piercesare Baretti che lo illumina: “Aspetta ad accettare, la Juve sta pensando a te“. Agnelli e Boniperti, infatti, avevano già deciso: Giovanni Trapattoni sulla panchina della Juventus. Stagione 1976/77, il Trap porta due campioni: Boninsegna e Benetti e il giovane Cabrini pronto a consacrarsi campione. Ed è subito Scudetto, alla faccia del Torino e soprattutto Coppa Uefa, in barba all’Athletic Bilbao. Ed era solo l’inizio: arriveranno, in 426 partite da allenatore della Juventus, ben sei tricolori, con due Coppe Italia, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Coppa Uefa, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa, un Mundialito. E in mezzo alti e bassi, campioni e meteore. Platini, Brady e quella tragedia destinata a rimanere nella parte oscura della storia: l’Heysel e 39 vite spezzate. Poi l’addio, a Lecce nel 1986, con la vittoria dello scudetto, l’ennesimo.
L’ALTRA MILANO – Poi il ritorno a Milano, sull’altra sponda. C’è l’Inter sul cammino del Trap e ci sono cinque stagioni da ricordare. La stagione 1988/99 porta lo Scudetto, ma il meglio deve ancora venire. Giovanni riesce a plasmare la squadra, la rende sua e la porta più in alto di tutte: nella stagione 1990-91 arriva la Coppa Uefa, battendo la Roma in finale. Un trofeo che mancava in casa Inter da 26 anni. E poi l’addio, un altro.
QUANTE STRADE – E il ritorno, quello che non t’aspetti. Quello dove hai vinto tutto e vuoi continuare a vincere. Trapattoni torna alla Juve, per tre stagioni, ma stavolta il bottino è amaro: una Coppa Uefa nel 1992/93, tanto quanto basta per renderlo l’allenatore più vincente della storia bianconera. Ma qualcosa si era rotto, con l’ambiente, con i tifosi e bisognava cambiare aria, paese, nazione. Il Trap sbarca in Germania, al Bayern, in due periodi distinti intervallati da una breve esperienza al Cagliari. Un campionato tedesco, una coppa di Germania e una di Lega tedesca, tanto per non farsi mancare niente. E poi l’ennesimo capitolo della sua carriera: la Fiorentina, alla quale il Trap consegnò il terzo posto e la qualificazione in Champions.
L’ITALIA, L’IRLANDA, LE NAZIONALI – Nell’estate del 2000, dopo le dimissioni di Dino Zoff, fu chiamato ad allenare la Nazionale italiana. Siederà sulla panchina azzurra per quasi quattro anni, con un bilancio non alla sua altezza e scelte criticate da molti. La Nazionale italiana, sotto la sua gestione, ha giocato complessivamente 44 partite: 25 vittorie, 12 pareggi e 7 sconfitte. Poi le esperienze in giro per l’Europa: il Benfica, lo Stoccarda, il Salisburgo e l’ennesimo record. Giovanni Trapattoni, infatti, è l’allenatore italiano ad aver vinto di più a livello di club. Nel 2008 diventa ct della Nazionale Irlandese, scegliendo Tardelli come vice e Liam Brady come assistente. E ancora l’Italia nel suo cammino, stavolta da avversaria: stesso girone alle qualificazioni ai Mondiali e 2 pareggi. Celebre la sua citazione alla vigilia di Estonia-Irlanda, spareggio per le qualificazioni ad Euro 2012: “Be careful of the cat. Don’t say you have the cat in the sack when you don’t have the cat in the sack”. L’11 settembre 2013, dopo due sconfitte rimediate dall’Irlanda nel girone di qualificazione ai mondiali 2014 contro Svezia e Austria, che compromettono il passaggio del turno, rescinde consensualmente il contratto e termina, definitivamente, la sua carriera d’allenatore. Una carriera d’onore, di chi ha fatto del calcio il suo leitmotiv e della professionalità il suo stile di vita. Un vero e proprio simbolo del calcio italiano, Trapattoni. Un italiano doc, coi suoi scatti, le sue battute, le sue scaramanzie. E bagnare il campo con l’acqua santa prima di ogni partita è solo uno dei suoi tanti gesti propiziatori perché il Trap è genio, follia, talento puro, storia ma soprattutto leggenda.