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E’ stata la settimana della “deuruguaizzazione” in casa Juventus. La data fatidica del 30 giugno ha sancito l’azzeramento dei resti di una colonia nutrita di giocatori talentuosi provenienti dal piccolo stato sudamericano, incastrato tra i giganti Brasile ed Argentina.

Dai tempi di Montero per passare da Zalayeta e da Fonseca, per finire a O’Neal, Olivera, Carini (chi erano costoro?) e per ultimi Caceres e Martinez a Montevideo il nome della Juventus è ben presente nelle menti degli “aficionados” uruguagi.

Ci fu anche un certo Raul Banfi che pose la sua firma di presenza tra le fila juventine in tempo di guerra, primo figlio del Rio de la Plata ad approdare all’ombra della Mole. Troppo fitte però, le brume del passato e sbiadite le immagini dell’epoca.

Appare subito agli occhi dell’osservatore attento che il valore dei calciatori nominati sia sempre stato più che buono; è il rendimento che ha fatto la differenza. Non si può pensare a mezzi “bidoni” quando si tratta di sudamericani, si deve però stare col fiato sospeso spesso e volentieri sul poterci contare. Genio e sregolatezza insomma.

Ennesimo esempio è la differenza sostanziale tra i due “tipi” che in settimana hanno detto addio alla Signora (o è stata la Signora a dire addio a loro?).

Chi mette in dubbio l’apporto cospicuo che Martin Caceres ha profuso alla causa bianconera? Una prima volta in prestito dal Barcellona, in una Juve che conservava della tradizione solo il nome. Eppure “El pelado” non passò inosservato, tanto da far pensare per un attimo i dirigenti al suo acquisto. Non se ne fece nulla, perché l’attimo successivo gli stessi dirigenti ritornarono nella loro abituale incapacità.

Ma la Juventus era nel destino di Caceres e ritornato a Torino nel 2012, il suo apporto è stato sempre di primo piano, con qualche gol pesante rifilato alle milanesi, per 4 anni densi e polposi. La sua presenza a Torino ha lasciato qualche segno anche nell’arredo urbano della città, ma questa è una storia a latere. Pare che vada alla Roma, a toccare con mano la differenza tra le due società.

Confesso che quando ho letto del termine del rapporto con Jorge Andrès Martinez, abbia dovuto scartabellare nei cassetti della memoria. Martinez chi? Quello che arrivato dal Catania come un genio del pallone, da noi riempiva i minuti delle partite a raccogliersi i capelli con un cordino a mo’ di comanche neanche tanto elegante? Ma come? Ancora a libro paga? “Non ci posso credere”diceva Aldo del trio con Giovanni e Giacomo.

Si trattava sempre di quella Juve là, quella in cui anche i bordi delle righe delle maglie tremavano dalla vergogna (mi ricordo che si disse che volevano rappresentare l’effetto elettrico, per impaurire gli avversari, roba da matti). Non era certo  facile giocare in quella situazione, ma 12 milioni di euro spesi, giustificavano le attese della gente. Pulvirenti e Lo Monaco gongolavano, ma in curva Scirea i moccoli iniziavano ancor prima del fischio d’inizio.  La notte fonda arrivò a San Siro contro il Milan, in una partita che la Juve vinse, ma che costò caro a Martinez per via di una frattura al piede destro. Fine della trasmissione.24b2b99b3af4c2efefbe4790b7663b94_169_l

Ora la cessazione del rapporto con la Juventus sorprende “El Malaka” in prestito alla Juventud de Las Pietras (forse quelle che gli volevano tirare dagli spalti dell’Olimpico di Torino). Juventud? Un dubbio atroce devasta la mente: non è che Martinez ha diritto a fregiarsi dei 5 scudetti consecutivi? No, perché sarebbe davvero troppo.

 

This post was last modified on 3 Luglio 2016 - 13:47

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