Ho visto l’Irlanda, l’ho vista da dentro: undici uomini, coi loro limiti tecnici, ma col cuore immenso. Che pulsa amore, identità, tradizione. Amore, sì: amore folle, incondizionato, nato tra i prati immensi di quella terra. È un popolo orgoglioso, quello irlandese: fieri delle proprie radici, pronti a tutto per difenderle. Un popolo che la sogna unita, l’Irlanda: combatte, ha combattuto, combatterà. E la sua nazionale l’ha dimostrato, una volta di più.
È che difendere i colori di un paese con l’anima divisa, spaccata in due frammenti dannatamente belli, ha un altro sapore. L’ho visto, già: negli occhi di quegli undici uomini, che brillavano d’amore quando il loro inno risuonava. Avrebbero voluto gridarlo, il loro orgoglio, lo so. Gridarlo, con un nodo alla gola, per dirlo a tutti: “Noi siamo irlandesi, noi sputiamo sangue fino alla fine!”.
Ho visto Coleman urlarlo forte, il suo orgoglio: in faccia a un compagno oppure al cielo o, ancora, dentro sé. Ho visto Long correre e dannarsi, col petto gonfio. E ho visto Murphy scaricarla tutta sulla sfera, quella forza interiore, che stava pure per spingerla dentro – e che gol sarebbe stato, signori. Li ho visti stringere i denti, quando le gambe non c’erano più, ché avevano dato tutto e più di tutto. Ho visto cantarlo dai tifosi, a squarciagola, quell’orgoglio: a petto nudo, con qualche birra di più in corpo, la tensione sul volto e il cuore a mille.
E li ho visti abbracciarsi, cantare ancora più forte, fino a stracciarsi la gola, pure piangere: tutti insieme, tutti in piedi, come se non ci fossero barriere. Perché Brady gli ha regalato un sogno, quando quasi non ci credevano più; perché per una volta ha vinto chi ci ha creduto di più, chi l’ha voluto di più, chi lottato di più. Perché ha vinto la loro storia, una storia di lotta.
È che nelle loro vene scorre il sangue di Bobby Sands, dei morti del Bloody Sunday, di chi ha dato la vita per l’Irlanda unita. E, allora, no: questa nazionale non è una squadra come le altre. È un corpo unico, sospinto da un soffio vitale inestinguibile, che si muove, respira, soffre e gioisce insieme. Un corpo fottutamente magico, accarezzato dalle fate, come un cielo d’Irlanda.