“Una finale non si gioca, si vince!”. L’assioma tanto caro a Del Bosque ed Eto’o, due che di ultimi atti se ne intendono parecchio, è stato interpretato alla lettera dalla Juventus, che pur disputando una pessima gara, a tratti financo inguardabile, è riuscita, sostanzialmente per inerzia, a centrare un “double” storico giacché, nessuno mai prima d’ora, aveva vinto per due volte consecutive i massimi tornei nazionali.
Albi d’oro e almanacchi vari tramanderanno ai posteri i freddi dati statistici e della prestazione offerta sul prato dell’Olimpico romano rimarrà flebile traccia solo nelle memorie meno ferocemente abbagliabili e/o abbindolabili dall’esultanza contingente, ma la vittoria ottenuta a spese del Milan, oltre a non vellicare più di tanto il piacere della conquista, conferma le spietate esigenze che Madama dovrà soddisfare nella corrente sessione di mercato e solleva, nel contempo, inquietudini che non sarà facile placare a breve termine.
La serata di gala della Tim Cup, ennesimo, orrendo spot del calcio peninsulare, ha contrapposto due formazioni con limiti sesquipedali che hanno concorso all’allestimento di uno “spettacolo” ( eufemismo ) nell’ambito del quale le carenze dell’una, anziché esaltare l’avversaria, si sono specchiate, sino ad annullarsi, nelle manchevolezze dell’altra.
Da una parte, rossoneri inopinatamente aggressivi, volenterosi e padroni del “giuoco” in ossequio ai dettami di una Casa più diroccata che fatiscente, però totalmente inoffensivi e quasi patetici nelle fasi di rifinitura e finalizzazione; dall’altra, una Signora palesemente già satolla di quanto ottenuto in stagione e appesantita da una difesa abborracciata, ma soprattutto dalla grave inferiorità numerica cui l’hanno costretta la contemporanea presenza in campo di Hernanes e Lemina; due terzi del centrocampo palesemente distopici e apparsi capitati per puro caso in un contesto del quale loro stessi stentavano a focalizzare la reale dimensione.
Qualunque delle contendenti si fosse trovata opposta una squadra meno raffazzonata sarebbe incorsa in una mattanza epocale. Invece, l’azzeramento dei valori ha determinato una narcolettica fiera dell’errore non provocato al cui termine, fortunatamente giunto senza ricorrere all’appendice dei tiri dal dischetto, ha vinto la formazione meno meritevole, ma più attrezzata per riuscirvi, in virtù della miglior qualità proponibile da una panca che la guida tecnica presidia con l’impagabile sostegno della dea bendata.
Affatto casualmente, la rete che ha permesso ai Campioni d’Italia di rimpinguare la bacheca, determinato il totale fallimento dell’annata milanista e regalato al Sassuolo la partecipazione alla prossima Uefa Europa League, è stata confezionata da due subentrati, Cuadrado e Morata, tra l’altro al pressoché certo passo d’addio, che hanno inteso celebrare con un’adesione totale il mantra societario che invita a crederci “Finoallafine”.
Chi tutto e chi niente, manco le briciole, è stato dunque il format territoriale di un sequel che, a dispetto dei riscontri numerici, si è concluso con lo stesso fastidioso disappunto che ingenera un bel film non terminato secondo aspettative; un retrogusto acre, di “Fragola” marcia, acuito e scandito da un’ultima colonna sonora, invero tremenda. Cos’ha fatto di male Mameli perché la sua marcetta, già di per sé musicalmente insignificante, debba essere stuprata con regolare e noncurante perfidia?
Forse ce lo dirà, prima o poi, Adam Kadmon. Nell’attesa siamo abbastanza sicuri che i profeti del giorno dopo si sdilinquiranno in retoriche esaltazioni del carattere e del cinismo esibiti dalla Signora Omicidi al cospetto dei plenipotenziari del football tricolore.
Più prosaicamente, la brutta partita che ha consegnato ai reliquiari l’ultimo pallone stagionale è stata un monito, l’anticipazione di un futuro che può essere evitato se prevarrà il buon senso, anziché la passione per gli sport estremi.
Se davvero la Juventus intende perseverare a lungo termine i momenti di gloria con cui ha punteggiato l’ultimo lustro, dovrà necessariamente, costi quel che costi, sostituire degnamente i partenti “obtorto collo”, arruolare due centrocampisti di comprovato valore internazionale da schierare “titolarissimi” al fianco di Paul Pogba e integrare il pacchetto arretrato come natura impone, dato che pure Rugani, allo stato dell’arte, è ben lungi dal meritare incondizionata fiducia.
Viceversa, l’anno che verrà offrirebbe le stesse disgraziate prospettive accreditabili a chi guida contromano in autostrada.
Quindi, che il doppio ambo estratto sulla ruota di Roma non illuda. Vincere sarà pure l’unica cosa che conta, ma il modo può essere trascurato solo nei bar, veri, o presunti tali; siano essi certe pagine dei social network o, peggio ancora, alcuni “salotti” televisivi.
Chi ha orecchie per intendere, intenda…
This post was last modified on 22 Maggio 2016 - 21:24