Tutto fin troppo bello, tutto così magico. A vincere non ci si abitua mai. E meno male. Abbeverarsi alla fonte dei record da battere è qualcosa insita nell’animo battagliero di Buffon e compagni. Tralasciando l’incidente di percorso incappato a Verona, l’atteggiamento dei bianconeri – in ogni partita del reale campionato iniziato dopo Sassuolo-Juventus, oggi finito – è stato emblematico. Nonostante quattro scudetti cuciti sul petto e un distacco numerico notevole dalla seconda in classfica, i tre punti dovevano esserci per forza. Questione di stile, di mentalità. Perché sì, i tifosi sugli spalti dello “Stadium” ci stanno facendo il callo; eppure, qualunque supporter “zebrato” avrebbe piacere a tenerselo stretto questo callo.
Contro la Sampdoria, l’esito del match sembrava scritto fin dai primi minuti. Diciamo pure dalla rete di Patrice Evra. Uno dei leader dello spogliatoio, nazionale francese e tra i più positivi della stagione appena conclusa. E poi c’è Dybala, l’eletto. In quel ciuffo ribelle vengono riposti desideri, aspettative e sogni da parte della Società di Corso Galileo Ferraris. Arrivato in punta di piedi, Paulo adesso chiude i conti “permettendosi” di superare Carlitos Tevez. L’Apache che, quasi quasi, stava rimarginando la ferita lasciata aperta da Alex Del Piero, l’eterno capitano. Eppure, anche “Pinturicchio” lo sa fin troppo bene: questa Juventus possiede un potenziale che fa paura.
Manca davvero poco, pochissimo per colmare il gap con le mostruose big europee. Anno dopo anno, grazie a Marotta, Nedved e Agnelli, la squadra sta salendo un gradino in più verso le regine del calcio internazionale, appollaiate nell’alto dei cieli. Per carità, non si può copiare il tiki taka di Guardiola o la rocciosità tattica del “Cholo” Simeone. La Juve è semplicemente la Juve. Raffigurata nella crescita graduale di Paul Pogba; nella joia di Dybala; nei dribbling di Cuadrado; nella velocità di Morata; nell’immensità di Buffon; nell’esperienza di Mandzukic; nella leadership di Bonucci; nell’eterna giovinezza di Barzagli; nella grinta di Sturaro; nella fedeltà di Padoin; nel sinistro di Evra e Alex Sandro; nel “cuore” grande di Litchsteiner; nei denti stretti di Chiellini; nella scommessa Rugani; nel principino Marchisio; nella tecnica di Khedira; nella cattiveria decisiva di Zaza.
Probabilmente ce ne sono tanti altri che hanno contribuito alla causa, sebbene sia impossibile elencarli ad uno ad uno. E c’è chi dice:”Ma non siete stanchi di vincere sempre?“. Stanchi? Provate voi ad essere sazi dopo aver conosciuto l’inferno della serie B. Per sanare quella ferita ce ne vorrebbero almeno altri cinque di scudetti. E magari una Champions.
Paolo Panico
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