La storia siamo noi, nessuno si senta offeso. Siamo noi che a inizio stagione avevamo tutto da perdere, e che ci siamo ritrovati, ancora una volta, con tutto da vincere. Siamo noi che abbiamo visto partire Pirlo, Vidal e Tevez dopo una stagione che a tratti sembrava irripetibile soprattutto per i risultati ottenuti in Europa, e che dopo un anno siamo sempre lì, e all’Allianz Arena ce la siamo giocata alla pari nonostante l’assenza di tre pedine fondamentali come Chiellini, Dybala e Marchisio.
E poi la gente, perché è la gente che fa la storia, quando si tratta di scegliere e di andare, te la ritrovi tutta con gli occhi aperti, che sa benissimo cosa fare. E sapevano benissimo cosa fare Buffon, Barzagli, Evra e Marchisio nel momento di crisi peggiore della stagione: ricordare ai compagni di onorare la maglia indossata, lavorare partita dopo partita per costruire una rimonta che, agli occhi di molti, sembrava impossibile. Insomma: tornare a essere la Juve. Facile a dirsi, possibile da fare soltanto se il gruppo può contare su un gruppo di leader veri, silenziosi, capaci di trasmettere ai nuovi arrivati la mentalità giusta.
E poi ti dicono “Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera”, ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera. Ormai, per la trentaquattresima volta nella storia del campionato nazionale di calcio, l’alibi è sempre quello. Se il tricolore ha preso per la quinta volta consecutiva la via di Torino è principalmente per due motivi: la Juventus ha dimostrato, nonostante le dieci giornate iniziali da incubo, di essere una macchina troppo più forte delle altre, e il Napoli, principalmente nelle figure di Sarri e De Laurentiis, ha mostrato di non essere ancora in grado di reggere le pressioni che l’alta quota impone. Tra fatturato, condizioni del campo, orari di anticipi e posticipi – tralasciando, tra le altre cose, che il calendario si stabilisce soprattutto in base ai possibili impegni in campo internazionale, e comunicati probabilmente evitabili sono stati forniti ai giocatori troppi alibi e, soprattutto, si è creata una tensione eccessiva intorno all’ambiente, finendo per venire fagocitati dalla stessa. Tendenza inversa, invece, quella seguita dal conte Max: quando tutto sembrava andare per il peggio, anche dopo la clamorosa sconfitta a Sassuolo, il tecnico era lì a predicare calma, perché prima o poi la squadra avrebbe trovato la quadratura giusta. Giusto il tempo di un breve ritiro spirituale per ritrovare le giuste energie mentali, perché da quel momento in poi la Juventus non si fermerà più. Alla fine, la storia dà torto, certo, ma dà soprattutto ragione. Bisogna però specificare una cosa: combattere contro questo universo bianconero, inteso non solo come forza in campo, ma soprattutto come mentalità, capacità della dirigenza di proteggere i propri tesserati, programmazione e fame di vittorie non è facile, e forse, piuttosto che crogiolarsi nelle solite scuse, bisognerebbe prendere Madama come esempio e impegnarsi per arrivare a certi livelli. Se vi state chiedendo perché la Juventus ha il fatturato più alto d’Italia, dovreste analizzare tutte le ultime operazioni finanziarie della società, dalla costruzione dello stadio alla promozione internazionale del brand, passando per la gestione autonoma delle attività legate a licensing e merchandising, e capirete che i bianconeri non hanno solo nel trading dei calciatori e nei risultati sportivi le fonti d’entrata a livello economico. Onore ai vinti, doveroso, perché a Napoli si è visto a larghi tratti un calcio spettacolare, ma onore soprattutto ai vincitori.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso. È stata la vittoria di un gruppo fantastico. Ancor più dei 70 punti raccolti su 72 disponibili nel girone di ritorno, nel quale la squadra ha subito soltanto un gol su azione, bisogna sottolineare l’importanza dell’intero blocco a disposizione di Allegri: da Dybala, Mandzukic e Pogba, passando per un Khedira che ha ritrovato quello splendido vizio del gol che aveva già mostrato a Stoccarda, fino a giungere a Zaza, autore del gol che ha consentito il sorpasso ai bianconeri, Morata, Lemina, Rugani. Chiunque è entrato, pur non essendo un elemento inamovibile della formazione titolare, ha sempre dato il massimo per la causa, facendosi trovare pronto a rilevare il posto del compagno. Una vera grande squadra, per essere competitiva su tutti i fronti, deve poter attingere da un gruppo nutrito di giocatori, capaci di dare il cambio ai titolarissimi nel momento del bisogno, ed è anche questo ciò che è mancato al Napoli nella lotta allo scudetto.
La storia siamo noi, con tutti i record infranti in questi cinque anni: uno scudetto da imbattuti, un altro conquistato rompendo il muro dei 100 punti, un altro ancora con un girone di ritorno che definire mostruoso potrebbe apparire a tratti riduttivo, tutti con un rigoroso denominatore comune che è la miglior difesa del campionato. La storia siamo noi, che non abbiamo neanche il tempo di festeggiare che c’è già un altro trofeo da conquistare.
(Versi in corsivo tratti da Francesco De Gregori, “La Storia”, 1985)
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