È fatta: la Juventus, ora ufficialmente Campione d’Italia, ha affrancato le maestranze della macchina del fango dalla fatica, invero improba, di scervellarsi per cercare di deviare il corso naturale delle cose dal loro alveo naturale. Ora sono “libere”, proprio nel giorno più indicato, di preparare i festeggiamenti per il prossimo immancabile scudetto estivo che, secondo latitudine, alcune tribù celebrano prima di ferragosto, mentre altre subito dopo.
Il trentaquattresimo titolo bianconero, ancora una volta diverso da quelli precedenti è intriso di efferato sadismo, giacché la peculiarità per cui i posteri lo ricorderanno non rimanda ai vari record individuali o di squadra con cui Madama ha riscritto la storia della SerieA, ma attiene la sfera emotiva delle parti che ne hanno tratto, per ragioni diverse, godimento infinito o devastante afflizione.
La Vecchia giovin Signora che negli anni immediatamente precedenti si era ferocemente applicata per indurre una quantità industriale di depressione nella concorrenza, nella corrente stagione ha cambiato spartito e, appunto sadicamente, ha sparso illusioni che avrebbero suscitato perfino l’invidia di Harry Houdini.
Ad onta del profondo restyling subito dalla rosa, di un avvicinamento agli impegni ufficiali non adeguato, di una partenza effettuata quasi in retromarcia e di quanti, già santificando le rinnovate competitività e regolarità del massimo torneo, intonavano epicedi in memoria della detentrice, la Göeba, mai disunitasi in nessuna componente, si è accodata al rabbioso urlo di guerra emanato dal suo leggendario capitano in una brumosa serata emiliana e, da quel momento, ha iniziato una marcia che con l’incedere dei turni ha assunto contorni trionfali.
I distacchi siderali inflitti alle volenterose comprimarie di una competizione sottomessa con ordinaria continuità testimoniano la bontà di una programmazione che ora ha l’obbligo di consacrarsi anche a livello europeo, giacché, allo stato dell’arte e per almeno un altro quinquennio, immaginare anche solo una scalfittura del monopolio juventino nella penisola sarebbe un esercizio da svolgere ai confini della salute mentale.
Per tradizione, all’ombra bicolore della Mole si gustano gli allori con la sobria soddisfazione di chi ha svolto bene il proprio lavoro, ma senza eccessi luminescenti o sguaiati e incivili raduni di massa. Un doveroso cin cin e poi…, testa bassa e pedalare; c’è una Tim Cup da replicare e un’altra annata agonistica da allestire, perché mentre altrove perdono tempo con ingiustificati struggimenti, sulle rive sabaude del Po già si cogita la stesura del prossimo copione.
La trama verrà svelata in autunno, ma il finale, non occorrono particolari sforzi di fantasia per supporlo, è volto a stropicciare sfacciatamente le pagine di una storia incomparabile con “grandi orecchie” e una sestina tricolore da delirio.
La leggenda continua. Qualcuno la scrive, altri sono karmicamente destinati a subirne gli effetti. Se ne facciano una ragione; dopo tutto, la lettura è comunque un passatempo commendevole.
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