Non è un giorno qualsiasi per il tifoso della Juve, il 25 aprile. Non può esserlo, dal 1995. Quel giorno, Andrea Fortunato, promettente terzino della Juventus, un ragazzo di 24 anni, perdeva per sempre la sua partita più importante, quella contro un male carogna, la leucemia.
Oggi, 21 anni dopo, la Juve vince il suo 34° scudetto e il pensiero non può non andare ad Andrea. Ci piace immaginarlo felice per la squadra per la quale faceva il tifo, ovunque egli sia. Ci piace immaginare che stia festeggiando, in qualche modo.
Ma se davvero Andrea ha la possibilità di osservarci, di vedere quello che accade da quest’altra parte, non potrà non avere un senso di vuoto, di rammarico. E noi con lui. La sua storia, la sua parabola che sarebbe dovuta essere un esempio per il futuro, per intraprendere un cammino verso la civiltà, oggi appare una occasione sprecata.
Accadde che, prima ancora che si accertasse la drammatica realtà, Andrea era incappato in un improvviso rallentamento fisico che ne aveva compromesso le prestazioni: i giornali parlavano di un giocatore “stanco, irriconoscibile in campo” condizione strana per un ragazzo che era sempre stato “un concentrato esplosivo di energia”. Andrea faticava a recuperare, tormentato com’era da una febbricola insistente. La cosa gli causò aspre frizioni con i tifosi più accesi che, dopo l’eliminazione della Juve dalla Coppa UEFA, presero di mira soprattutto lui, accusato “di dolce vita, di non correre molto, di non mettercela tutta, di essere un lavativo. Soprattutto, di essere un malato immaginario”.
Ecco, Andrea. Se c’è qualcosa che non è cambiato da quando te ne sei andato, oltre alla nostra Juve che continua ad inanellare successi su successi, è quella idiozia che ci fa perdere la testa, tutti, che ci fa dire cose che magari non pensiamo, che si manifesta in striscioni, cori razzisti, che ci fa peggiori di quello che siamo. Quella idiozia che spesso nascondiamo dietro la parola tifo ma che con la passione e l’entusiasmo per una squadra nulla c’entra. Quella idiozia che ci fa augurare il peggio ai nostri avversari e, qualche volta, anche ai “nostri”, come accadde per te.
Ecco perché quel 25 aprile è un’occasione sprecata. Il sacrificio di Andrea potrà davvero non essere vano solo quando riusciremo, insieme, a superare quegli atteggiamenti di pura inciviltà. Quando il sorriso di un ragazzo di 24 anni, che provava a resistere nonostante tutto, si farà strada nelle nostre menti, come un raggio di sole, per dissolvere le tenebre di quella idiozia.
Fino a quel momento, caro fratello Andrea, guardaci e prova a perdonarci, se puoi.
E magari, nello sguardo di tanti che stanno festeggiando lo scudetto, potremo ritrovare un po’ della tua forza di volontà, della tua energia. E ricominciare da lì.
Francesco Alessandrella (Twitter @Alessandrella)
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