Se vi si chiede di pensare ad Amsterdam, le prime quattro cose che vi vengono in mente, in ordine sparso, sono quasi sicuramente queste: van Gogh, e crediamo che a riguardo ci sia davvero poco da aggiungere, i coffee shop, testimonianza della grande tolleranza che ha sempre contraddistinto questa città, i tulipani, fiore simbolo d’Olanda, e Johann Crujiff. In realtà, per chi vi scrive, ce ne sarebbe anche una quinta, ma essendo strettamente personale, è del tutto irrilevante ai fini della leggenda. Sì, perché quella di Crujiff e del suo Ajax, per quanto pregevole è stato il calcio espresso e soprattutto per quanto sono stati capaci di influenzare tutto quanto sia venuto dopo, è da considerarsi tale.
Amsterdam, 25 aprile 1947. L’occupazione nazista, durata cinque anni, aveva radicalmente cambiato il volto della città: il commercio dei diamanti era ormai sparito nel nulla, vista la deportazione di oltre 100mila ebrei, principali gestori di questo settore, e inoltre gli Amsterdammers, scelsero di trasferirsi nelle vicine città di Purmerend, Hoorn e Almere. Manus Crujiff viveva con la moglie e i suoi due figli in una casa popolare con annesso negozio ortofrutticolo, attività che da anni rappresentava l’occupazione dei Crujiff.
Con la morte del sig. Mangus, la famiglia è costretta a vendere sia l’abitazione sia il negozio di prodotti ortofrutticoli, e la sig.ra Nel inizia a lavorare come addetta alle pulizie allo Stadion De Meer: l’Ajax ha appena messo piede nella vita dei Crujiff per non uscirne più. Johan non è messo benissimo dal punto di vista fisico: ha i piedi piatti e una caviglia deformata, è piuttosto gracilino, tanto da essere successivamente scartato per il servizio militare, ma nonostante tutto riesce a sostenere e superare un provino con i lancieri più famosi del mondo. C’è una cosa, però, che va assolutamente specificata: è perfettamente ambidestro, calcia con una facilità impressionante con entrambi i piedi. Nel settore giovanile dell’Ajax mette in mostra tutto il suo talento, tanto da attirare su di sé le attenzioni del coach Vic Buckingham, che decide di aggregarlo al gruppo dei grandi per fargli fare una serie di allenamenti personalizzati per svilupparne le qualità fisiche.
Quello di Vic Buckingham è un nome che potrebbe suggerire poco, ma è stato senza dubbio uno degli allenatori più all’avanguardia della sua epoca: se c’è stato il Glorioso Ajax è anche – o forse soprattutto – alle sue idee di calcio totale e alla sua attenzione rivolta al settore giovanile. La sua idea era essenzialmente una: in una squadra tutti devono saper fare tutto e la palla, essendo una sola, la devi avere per forza tu.
Il 15 novembre 1964, Johan Crujiff fa il suo debutto in prima squadra e dopo soli sette giorni arriva anche il primo gol. Le cose, però, per mister Buckingham non vanno per il verso giusto, la squadra è in piena lotta per non retrocedere, e nel gennaio del 1965 viene esonerato per far posto a Rinus Michels. L’ex centravanti della nazionale olandese riesce a evitare la retrocessione, ma non cambia nulla del modo di giocare della squadra: ciò che cambia per davvero è la comunicazione tra giocatori e allenatore. Crujiff viene messo al centro del progetto e, nelle tre stagioni successive, vincono tre campionati e una Coppa d’Olanda. Le idee di Buckingam, portate avanti da Michels, non erano poi così male, come sembrava qualche momento prima.
Nel 1969 la squadra giunge in finale di Coppa dei Campioni, persa per 4-1 contro il Milan di Nereo Rocco. Se quella squadra aveva un difetto, era quello dell’esperienza in campo internazionale, ma il successo era solo rimandato. E il destino deve per forza aver influenzato le cose: nel 1971 il lancieri giungono di nuovo in finale di Coppa dei Campioni, e ad attenderli c’è il Panathīnaïkos. Sulla panchina dei greci sedeva Ferenc Puskas, simbolo della grande Honved che ha rivoluzionato il modo di fare calcio e influenzato, inevitabilmente, tutto quanto venuto dopo di essa. Fu come una sorta di passaggio di consegne, perché Crujiff è riuscito a dividere la storia del calcio in due parti: ciò che è venuto prima, caratterizzato da un determinato modo di intendere il calcio, e ciò che è venuto dopo di lui, che ha subito tutte le influenze del caso. La partita finì 2-0 per gli olandesi, che aprono un nuovo ciclo da tre: ad Amsterdam, infatti, finiscono anche le due Coppe dei Campioni successive, vinte contro Inter e Juventus, e nel 1971 e 1973 Johan si aggiudica anche il Pallone d’Oro.
Nell’estate del 1973, la squadra è chiamata alla tradizionale elezione del capitano, ma la squadra vota clamorosamente contro il suo talento principale, che decide di scappare in quella Spagna che da poco aveva riaperto le porte agli stranieri. È in quei pochi minuti che si è in un certo senso autodistrutta la squadra più forte del momento: vanno via praticamente tutti. Johan, coadiuvato dal suocero, sceglie la Catalogna.
Dopo un avvio di stagione complicato legato a problemi contrattuali, Johan riesce a debuttare con il Barcellona quando la squadra era già fuori dalle coppe. La stagione sembrava avviarsi verso una piega tutt’altro che esaltante, ma al termine del campionato è proprio la società blaugrana a portarsi a casa la Liga, cosa che non accadeva da 14 anni.
È giunto il momento di godersi il mondiale del 1974, uno dei più emozionanti della storia. Per questa occasione, gli olandesi decidono di fare un regalo a tutti gli amanti di questo sport: la possibilità di vedere insieme i protagonisti del Glorioso Ajax per un’ultima serie di notti insieme. Ci sono praticamente tutti: Crujiff, Rep, Krol, Neeskens (che qualcuno definisce l’incarnazione del calcio totale, capace di giocare praticamente ovunque), Haan, Suurbier, Keizer, e a dirigere l’orchestra c’è, ovviamente, Rinus Michels. La superiorità della squadra è imbarazzante, giocano un calcio di livello superiore rispetto alle altre squadre. In finale arrivano l’Olanda e la Germania Ovest, che con il suo calcio perfettamente ordinato rappresenta il modo opposto di intendere questo sport. La finale è una partita strana: i primi due minuti sono un assolo degli olandesi, che dopo due minuti di possesso palla continui, entrano in area di rigore con Crujiff, che viene atterrato da un difensore tedesco. Calcio di rigore, Neeskens dal dischetto manda già in vantaggio la sua squadra. “E non hai capito ancora come mai, gli hai lasciato in un minuto tutto quel che hai”, canta Francesco De Gregori. Questi due minuti rappresentano l’ultima sinfonia dei musicisti olandesi: la Germania rientra in partita e, quando ciò accade, raramente non porta la vittoria a casa. Finisce 2-1 per i tedeschi. La leggenda dell’Arancia meccanica si è fermata a un passo dalla vittoria.
Gli anni successivi a Barcellona per Crujiff non sono esaltanti e, nonostante la vittoria del terzo pallone d’Oro, l’allenatore Hennes Weisweiler lo considera solo “uno dei tanti”, cosa a cui non è abituato. Perché sia chiaro: Crujiff non può essere uno dei tanti. Le cose migliorano con il ritorno di Michels nel 1976, ma per il talento più cristallino d’Olanda sembra essere iniziata la fase del declino, tant’è che nel 1978 decide di abbandonare il calcio.
Nel 1979, però, con una serie di telefonate, il suocero Cor Coster, ricchissimo commerciante di diamanti che nel tempo libero si diletta a fare con Johan quello che poi sarà chiamato in futuro “procuratore”, lo convince a sfruttare le ultime gocce di talento a sua disposizione. Crujiff sbarca in America. Il secondo tempo della leggenda può avere inizio. Dopo aver rifiutato un contratto faraonico con i Cosmos, si dice per via del fatto che giocassero su un campo sintetico, si accasa ai Los Angeles Aztecs. Sulla panchina, manco a farlo apposta, c’è Rinus Michels. L’allievo torna ancora una volta dal suo maestro e i risultati sono più che positivi: Crujiff, anche se nella nuova veste di giramondo, ha ancora tanto da dare.
I due anni successivi li passa tra Levante e Washington, prima di fare un provino con il Milan che non riesce a superare per via dei problemi fisici che lo attanagliano da qualche tempo. Sembra essere ormai giunto il momento di dire basta. O forse no, c’è ancora qualcosa da dare – e da prendere – su un prato, la sua stella non ha ancora smesso del tutto di brillare: il figliol prodigo torna a casa, e con l’Ajax vince due campionati e una coppa d’Olanda, giocando con gli astri nascenti Rijkaard e van Basten, prima di vincere l’ultimo campionato con il Feyenoord dell’esordiente Gullit nell’insolito ruolo di libero. È un altro passaggio di consegne, perché i tre olandesi saranno i principali protagonisti del calcio totale espresso dal Milan di Arrigo Sacchi, la squadra che, nel corso degli anni, ha tratto la maggiore ispirazione da quell’Arancia meccanica fermatasi ad un passo dal conquistare il mondo. Adesso è davvero il momento di dire basta, ma non di lasciare il calcio: Crujiff torna ancora una volta ad Amsterdam nei panni di allenatore – e lo farà di nuovo da dirigente e poi da consulente di mercato, prima di andare ancora una volta al Barcellona, dove raggiunge i maggiori successi nel ruolo di allenatore.
Nella sua vita, gli elementi principali sono stati due, per sua stessa ammissione: il calcio, che gli ha dato tutto, e il fumo, che quel tutto gliel’ha strappato via.
Corrado Parlati (@Corrado_Parlati)
This post was last modified on 28 Marzo 2017 - 22:09