Ebbene sì: “aziendalista” è uno degli aggettivi con cui Massimiliano Allegri è stato bollato appena subentrato a Conte ormai due estati fa, nella notte che molti tifosi ancora ricordano come quella del gran tradimento da parte dell’ex numero 8 bianconero. Nemmeno dei più denigratori per la verità, ma di sicuro non lo si diceva per fargli un complimento. Uno che abbassa la testa di fronte agli eventi, uno che accetta supinamente le decisioni societarie anche e soprattutto in chiave mercatara, uno che avrebbe ben presto smesso di vincere non appena finita l’onda dell’era di colui che lo aveva preceduto.
Molte cose si possono dire del nostro Mister, tutte più o meno condivisibili e tutte altrettanto più o meno opinabili, così come lo sono tutte le opinioni più soggettive che oggettive. Ma di sicuro non che sia uno che si arrende senza lottare o che alza bandiera bianca prima ancora che la battaglia abbia inizio. E’ successo due mesi fa, quando dopo la sventurata sconfitta di Siviglia l’urna non proprio benevola ci pose di fronte i giganti bavaresi, giganti non già per la statura quanto per la forza e l’efficacia del loro gioco. Sempre giustamente convinto delle proprie scelte, sempre perennemente in difesa di quelli che a lui piace chiamare i “ragazzi”, che anche a Siviglia non avevano affatto demeritato e anzi forse avrebbero mal digerito persino un pareggio,sempre pronto e convinto che i suoi possano essere all’altezza di giocarsela con chiunque. Sì, anche con il Bayern Monaco. Convinto e convincente, talmente sicuro da trasmettere questa certezza anche ai giocatori e persino a qualche tifoso, consapevolezza che si è trasformata in mezza apoteosi dopo l’incredibile finale di gara di 3 settimane fa. Eppure di alibi ce n’erano, si affrontava la squadra considerata più forte insieme al Barcellona (contro cui peraltro abbiamo sfoderato una prestazione che è valsa gli applausi di tutta Europa nonché degli avversari), se non fosse stato per quell’urna, per quella partita, per quel gol di Llorente… e invece no, “la Juve se la può giocare” la frase ripetute come un mantra in ogni conferenza dove provavano a darci per spacciati, e se la giocò eccome riprendendo un risultato che sembrava acquisito. Il tutto, con estrema eleganza, senza mai fare cenno al rigore non concesso, al fallo su Bonucci, al fuorigioco sul primo gol.
E’ risuccesso ancora, e gli alibi sarebbero persino tre. Chiellini che non recupera e in un colpo solo fuori anche Marchisio, Dybala e forse Mandzukic. Bene, scordatevi di sentire uscire dalla bocca del Mister parole di dispiacere (se non umano) o di resa. “la Juve se la giocherà, mancano alcuni giocatori ma i ragazzi che giocheranno saranno all’altezza”. Ne è convinto, non lo dice per dirlo. Ne è talmente convinto che anche chi gioca al posto dei “mostri” diventa mostro anche lui. D’altronde, all’andata il secondo tempo iniziò con Hernanes al posto di Marchisio, e fece un partitone, e il gol del pari arrivò dall’asse Morata-Sturaro, entrambi inizialmente in panchina. Non si lamenterà mai degli assenti, perché i presenti svolgeranno il compito al meglio.
Se ci crede lui che li vede tutti i giorni, perché non dobbiamo crederci noi. Perché non dare, da veri tifosi, il nostro sostegno fino in fondo. Perché non essere coi “ragazzi” fino alla fine. Noi un perché non ce lo abbiamo, e quindi tiferemo come sempre, più di sempre, finché triplice fischio sarà. E no, non sperateci: comunque andrà a finire non sentirete mai dire al Mister “se ci fosse stato tizio o caio”. Perché lui, l’aziendalista, crede davvero nei suoi ragazzi. In tutti quelli che manda in campo. E ha l’eleganza di saperlo ripetere con determinazione puntuale e convincente.
Dario Ghiringhelli (@Dario_Ghiro)
This post was last modified on 16 Marzo 2016 - 10:04