E’ evidente che lo sviluppo del progetto legato alla nascita delle seconde squadre in Italia sia una delle chiavi per riavviare il motore ingolfato del nostro calcio è inconfutabile. E i dati sui trionfi Mondiali di Spagna e Germania lo certificano ulteriormente. Il paradosso impossibile però nel nostro paese si concretizza in realtà: la convenienza di pochi penalizza l’interesse di tutti.
LA MAGGIORANZA SUPERATA DALLA MINORANZA – Una necessità nota fin dal 2012. Perché, allora, quei 13 club che si erano espressi a favore delle seconde squadre non si battono per introdurle? Viene il sospetto che il traccheggio nella quotidianità sia più conveniente degli investimenti sul futuro. E non è un bel sospetto. Come riporta l’edizione odierna di Tuttosport, non tutti ricordano che il 13 settembre 2012 si svolse un interessante incontro in Lega Calcio tra i club della Serie A. Convocati per discutere uno studio fatto dalla stessa Lega per analizzare “lo stato dell’arte” del nostro calcio alla luce del fatto che tutti i parametri (dal Financial Fair Play alla crisi economica, dalle regole Uefa alla necessita di ringiovanire le rose) spingevano verso la valorizzazione dei settori giovanili. Già allora, vale la pena sottolinearlo, il campionato italiano era il più vecchio d’Europa e l’intero movimento non aveva (così come non ha) un progetto per valorizzare il sistema giovanile. Dopo la relazione sullo studio della Lega, fu chiesto di scegliere un modello di riferimento cui ispirarsi. Ebbene, ben 13 squadre suggerirono di istituire le seconde squadre.
COME SPAGNA E GERMANIA! – Insomma, la stragrande maggioranza dei club aveva scelto la strada vincente: quella che portava alle squadre B (le “seconde squadre”), la maggioranza aveva avuto ragione nell’individuare la strada vincente. Anche perché i dati sui campionati europei più vicini ai nostri parlano chiaro: è la scelta vincente sia economicamente sia tecnicamente.