Ci sono momenti nella vita in cui sembra andare tutto bene, altri tutto male. E ci sono situazioni in cui una cosa che va bene fa svoltare per migliorare il tutto, o una che va male trascina verso il baratro anche le nostre certezze. Questo vale nel quotidiano, ma ovviamente vale anche, e forse soprattutto, nello sport. Abbiamo assistito diverse volte a parabole ascendenti o discendenti di giocatori o intere squadre, e spesso le due cose vanno di pari passo. Nel calcio ci sono alcune situazioni che estremizzano questo concetto. Una di queste è il classico “giocatore che fa fare il salto di qualità alla squadra”, quello che negli ultimi 4-5 anni viene definito il “top player”. Quello che dove lo metti fa bene a prescindere, e che in conseguenza fa migliorare la resa di tutta la propria squadra in termini di apporto personale e di crescita dei compagni. L’esempio più lampante che ci viene in mente è Ibrahimovic, uno che ha vinto ovunque sia andato, cambiando squadre e campionati, e qualcosa vorrà anche dire. Quando e dove gioca lui, si vince. È successo in Olanda, in Italia con 3 squadre diverse, in Spagna pur nella sua stagione “peggiore”, e in Francia. E sull’effetto positivo sui compagni basta ricordare il rendimento incredibile di Nocerino e Boateng quando gli giocavano vicino nell’ultima stagione sotto il nostro tricolore.
Poi ci sono quei giocatori che invece hanno l’effetto contrario, che fanno una specie di terra bruciata praticamente tutto dove arrivano. Uno di questi è, suo malgrado, Felipe Melo. Lo abbiamo avuto anche tra le nostre fila, e nessuno lo ha mai amato e men che meno rimpianto, cosa che stanno iniziando a provare anche gli interisti. Uno di quei giocatori che non solo non apporta niente di buono, ma anzi sovente fanno più male che bene, e che finiscono con il loro rendimento col danneggiare tutto l’ambiente: da un lato con prestazioni personali difficilmente comprensibili, dall’altro trascinando verso il baratro tutto il sistema che anziché trovare in essi un saldo punto di appoggio si ritrova a essere in equilibrio precario su terreno scivoloso. Le ingenuità personali spesso si ritorcono sul rendimento di tutta la squadra, e si perde la fiducia nei compagni e in se stessi.
C’è ancora una terza frontiera, quella in cui la squadra è più solida del giocatore, e anziché basarsi sulle alterne fortune del singolo va avanti per conto suo ed è anzi in grado di essere lei, come fosse un’entità unica, a far alzare il rendimento dei singoli, andando anche oltre alcune prestazioni non ottimali. Il caso del “profeta” Hernanes ne è l’emblema. Arrivato l’ultimo giorno di mercato come rincalzo del rincalzo, per coprire un ruolo non propriamente suo, definito dallo stesso uomo che lo aveva acquistato (Marotta) “non un fenomeno”, ha iniziato la stagione come peggio non si poteva. Titolare per forza con le assenze forzate di Marchisio e Khedira, ha sfoderato prestazioni al limite del decente, tornando presto in panchina e prendendosi anche qualche fischio ingeneroso dei tifosi, facendo oltretutto sfregare le mani ai dirigenti interisti convinti di averci rifilato il più classico dei bidoni alla cifra non proprio da discount di 11 milioni di Euro. Ebbene la Juve, nonostante abbia subito la sconfitta di Napoli proprio su un errore del brasiliano, è stata più forte del suo momento negativo, lo ha riassorbito tra le sue calde braccia, lo ha rivitalizzato e gli ha permesso di tornare ad essere un signor giocatore. Le ultime prestazioni contro Bayern Monaco ed Inter (non esattamente Pizzighettone e Poggibonsi, con tutto il rispetto) ci hanno riconsegnato un giocatore di altissimo livello in un ruolo che forse nemmeno lui pensava di poter ricoprire così bene. Il circolo virtuoso innescato dalle vittorie di squadra e dalla ritrovata serenità dell’ambiente e del giocatore lo hanno rivitalizzato, facendolo tornare un ottimo grimaldello per continuare l’attacco al campionato, alla coppa Italia e… non solo. Un terreno scivoloso individuato in fretta, bonificato, e utilizzato per buone fondamenta.
“Se qualcosa può andare male lo farà”, recita la famigerata e stracitata legge di Murphy, e l’imbocco di un circolo vizioso può far pensare sempre e solo negativo. La bravura, la forza e la capacità della Juve di questi tempi sono di essere catena fatta di anelli molto forti, al punto da lasciare il tempo di consolidarsi anche a quelli apparentemente più deboli, per tramutare una potenziale discesa in una trionfale ascesa, e un possibile circolo vizioso in un confortante circolo virtuoso.
Dario Ghiringhelli (@Dario_Ghiro)