Appare chiaro che, in fin dei conti, quello che sino al 60′ sarebbe stato considerato un pareggio quantomeno insperato, alla fine della fiera si è tramutato in un pari d’oro, oltre che nella realtà concreta dei fatti. Un 2-2, quello fra Juventus e Bayern, che per i bianconeri assume il sapore della riscossa, dell’orgoglio e dell’onore.
IL PREGIO DI NON ARRENDERSI MAI – Tre sostantivi per tre significati determinanti alla luce dell’impresa compiuta in poco meno di mezz’ora dalla squadra di Allegri. Una riscossa generata dal rasoterra fulmineo di Dybala, fondamentale per riaprire una partita considerata già chiusa dai tedeschi. Un orgoglio sopito ma improvvisamente risvegliato dall’urlo dello Stadium in virtù di quello schiaffo inflitto dalla Joya a Neuer ed alla superficialità di Kimmich che favorisce l’accorciamento delle distanze. Un onore, prepotentemente tornato alla ribalta, fondamentale nel ricordare agli undici bianconeri di non avere la pasta e lo spirito sacrificale degli agnellini, ma il cuore e la rabbia dei leoni.
LA REALTA’ DEI FATTI – Detto ciò, i toni entusiastici della maggior parte della stampa, magari afflitta dai deludenti risultati europei delle italiane, e che hanno accolto – fino ad un certo punto anche ragionevolmente – il pareggio dei campioni d’Italia, allontanano forse un po’ da un’analisi del match che dovrebbe, probabilmente, essere più obiettiva e distaccata. Del resto il Bayern di Guardiola ha surclassato i bianconeri con il dominio relativo al possesso palla per gran parte della gara, sfoggiando addirittura giocate al limite del plagio blaugrana in qualche circostanza. La rete del vantaggio ne rappresenta l’emblema, con la palla partita da destra grazie ad un traversone di Robben, giunta a sinistra per il contro cross di Douglas Costa e culminata al centro dell’area bianconera per il piattone a botta sicura di Muller. Il tutto senza che la retroguardia ed il centrocampo della Juventus, che pure dava l’impressione di essere predisposto soltanto a doveri di natura difensiva in quel momento, riuscissero a capirci concretamente qualcosa.
QUESTIONE DI ATTEGGIAMENTO – E poi diciamolo, chi non si è sentito in qualche modo indifeso dalle scorribande di Robben, disarmato per controbattere i concreti attacchi dei bavaresi, e forse anche un po’ deluso dall’atteggiamento di una squadra che, presentandosi al confronto da assoluta protagonista in virtù del raggiungimento della scorsa finale di Champions, sembrava avesse acquisito maggiore sicurezza e determinazione anche (e finalmente) in ambito europeo? Senza inutili disfattismi, ma anche senza troppe ipocrisie, scommettiamo tanti dei suoi tifosi. Perchè è questo che ha fatto più male dei primi sessanta minuti di gara disputati dai bianconeri, non certo la superiorità del Bayern peraltro già messa in conto. E’ stato l’atteggiamento rinunciatario che ha accompagnato gli uomini di Allegri per gran parte della gara, la sensazione di restare impotenti e di poter solo guardare, difendere e sperare di non subire gol al primo atto di questi ottavi di finale. Insomma, ciò che la Juve ha concesso al Bayern non è stato il rispetto sacrosanto che merita una squadra di campioni come quella teutonica, ma la paura. E la paura non bisogna concederla a nessuno.
DIRITTO ALL’IMMAGINE…VINCENTE – Giunti dunque al bandolo della matassa, contemporaneamente alla naturale soddisfazione per aver raggiunto l’insperato pareggio, dopo un bel sospiro di sollievo per non aver perso e gettato alle ortiche ogni probabilità di qualificazione, a mente fredda si fa largo l’enorme rammarico per aver cominciato a giocare da Juventus soltanto dopo aver incassato le prime due sberle. Ma, oltre ciò, risulta particolarmente ingiusto aver concesso all’Europa che conta l’immagine di una squadra che, tutto sommato, probabilmente non risulta essere così nettamente inferiore al colosso orchestrato da Guardiola come invece è apparso sino al momento della gioia regalata da Dybala. “L’avversario arriva dentro (lo Stadium, ndr) e attraversando i corridoi vede in ogni angolo campioni di ieri e di oggi con la maglia bianconera alzare trofei. Come dire: ‘Vinciamo sempre noi’. Puoi anche entrare in soggezione in un ambiente del genere”. (Fabio Cannavaro).
ANCORA LA PARTE DI DAVIDE NELL’ATTESA DI GOLIA – Ecco cosa significa essere la Juventus, ecco cosa l’avversario dovrebbe provare durante i momenti di concentrazione all’interno del tunnel in attesa che si possa entrare in campo. Poi tutto questo non significa doverle vincere tutte le partite, come il nome e la storia della Juventus potrebbe sembrare che impongano. Esiste anche la cultura sportiva di riconoscere quando l’avversario si rivela superiore. Però c’è una differenza abissale fra il concedere il fianco sin dal primo minuto e mostrare, invece, la fierezza del voler fare la parte della grande anche al cospetto di una grandissima. Poi ci sarà anche spazio per la riscossa, per l’orgoglio e per l’onore se sarà il caso, ma tutto ciò, di norma, è bene sapere che appartiene alle piccole squadre. A quelle che, per intenderci, non possono ambire a battere le più blasonate attraverso le armi della qualità e della tecnica. O pensiamo davvero che il Bayern sia approdato a Torino con l’intento di metterci il cuore e l’impegno per provare a fare risultato? Si riparta dall’ultima onorevole mezz’ora per il secondo round dell’Allianz, svolgendo ancora una volta la parte di Davide nella battaglia contro Golia, come il frutto della gara dello Stadium adesso impone. Ad invertire il trend si penserà a partire dai quarti, impresa permettendo, anche perchè la realtà dei fatti non sempre corrisponde alle belle storie in cui il Davide della situazione, armato di una semplice fionda, riesce ad uccidere Golia.
Rocco Crea (Twitter @Rocco_Crea)