Esistono dei limiti che non si dovrebbero mai superare, che prescindono da ogni cosa: età, ruoli, fama. Il rispetto, per esempio, non dovrebbe venire a mancare in nessuna occasione. E, invece, Francesco Totti ha sicuramente mancato di rispetto, professionale e personale, a Luciano Spalletti. Era evitabile l’intervista ai microfoni del Tg1: una mossa astuta, senza dubbio, ma che non fa il bene di nessuno.
Il capitano giallorosso, probabilmente, intendeva accendere i riflettori sul suo malessere. Ci è riuscito, ma a costo della serenità dell’ambiente: ha anteposto gli interessi e gli obiettivi personali a quelli collettivi. Ha peccato di egocentrismo: record e bonus vanno messi in secondo piano, in momenti tanto delicati, specialmente se si è considerati un simbolo. Perché, e su questo non ci piove, Totti rimane una leggenda. Per quanto fatto vedere sul terreno di gioco, almeno. Ma questo non è il primo caso in cui mette se stesso davanti al resto della squadra: chiedere a Capello e Ranieri.
Ora, però, è facile pensare che la tifoseria si divida: chi sta con lo storico capitano e chi con il tecnico e, quindi, con la società – che, senza dubbio, ha il peso specifico maggiore in questa situazione. La premessa da fare è che Spalletti deve fare il meglio per la Roma, quindi se ciò implica l’esclusione di Totti dall’undici titolare o il suo utilizzo part-time, è del tutto legittimo: saranno i fatti, poi, a dargli ragione o meno. Non esiste che un calciatore, qualunque sia la sua importanza, critichi tanto apertamente le scelte dell’allenatore, creando consapevolmente un clima ostile per la squadra.
Il parallelo che viene subito alla mente è quello con Alessandro Del Piero. Ed è un paragone che, con le dovute differenze, ci può stare: i due hanno rappresentato e rappresentano tanto per la storia delle loro società e del nostro calcio, ma hanno affrontato il viale del tramonto diversamente.
Alex non ha mai perso lo stile, che l’ha accompagnato lungo la sua carriera. Il rapporto con Conte non era idilliaco, a dispetto delle dichiarazioni pubbliche: il capitano bianconero, come quello giallorosso, era convinto di poter dare ancora qualcosa in campo e, probabilmente, si trovava in disaccordo col pensiero di dirigenza e allenatore – che dirà, in seguito, “meglio uno che si mette a disposizione che un fuoriclasse”. Ma Pinturicchio non ne ha fatto un dramma, tanto meno pubblico: ha aspettato il suo momento e, quando è stato chiamato in causa, ha saputo dare il suo contributo. Con classe, come suo solito: quel gol alla Lazio è valso un pezzo di tricolore ed è ancora nei cuori di tutti i tifosi bianconeri.
I modi che hanno portato all’addio sono stati poco eleganti? Forse, sì: la società avrebbe potuto comportarsi diversamente, ma va considerato il periodo storico in cui si trovava la Juventus. Senza vittorie da troppo tempo, con poche vie d’uscita all’orizzonte e, forse, con qualche voce troppo grossa nello spogliatoio: tagliare col passato era doveroso e, col tempo, s’è rivelata una mossa vincente. Una strada che Agnelli aveva intrapreso già con le cessioni di Camoranesi e Trezeguet. E con l’arrivo dello stesso Conte, che è diventato – di nuovo – il punto di riferimento della tifoseria.
Sarà curioso vedere cosa accadrà a Roma. La società potrebbe cogliere la palla al balzo e operare una svolta simile a quella bianconera, ma c’è da considerare che le due piazze sono quasi agli antipodi: viscerale quella romana, più razionale quella torinese. Ed è forse la razionalità, oltre alla presenza di un altro condottiero, che ha reso meno traumatico l’addio a Del Piero: arriva sempre un momento in cui le bandiere – dorate, non dimentichiamolo – vanno ammainate, per il bene della patria.
Felice Lanzaro (@FeliceLanzaro)
This post was last modified on 22 Febbraio 2016 - 12:18