Adesso sono undici consecutive! L’ultima vittoria, peraltro ampiamente meritata, ha un valore enorme; per il dovere ineludibile di coglierla, stante il persistere dell’anomalia campana al vertice della classifica e per le complicazioni indotte dalla maginot eretta da Spalletti a protezione di Szczesny; un cubo di Rubik risolvibile solo con dosi industriali di pazienza o, come poi avvenuto, con un colpo di genio.
Affinché le partite siano gradevoli debbono essere giocate da entrambe le contendenti. A tale incombenza, però, la Roma si è negata sin dalle primissime battute palesando la chiara intenzione di perseguire un pareggio, preferibilmente a reti bianche, da ottenere con un atteggiamento ormai obsoleto anche per la meno nobile delle provinciali.
Così, per lunghi tratti e ineluttabilmente, il match è risultato decisamente noioso, con le testarde e nemmeno particolarmente brillanti iniziative della Juventus ( schierata con una formazione iniziale troppo prudente ) costantemente respinte dal muro giallorosso. Pareva di osservare una mosca che sbatte pervicacemente contro lo stesso vetro, nonostante l’esistenza di altre vie d’uscita.
La soluzione al rompicapo è finalmente giunta a metà di una ripresa durante la quale si percepivano nettamente sia l’esigenza che l’urgenza di insufflare tecnica e fantasia nelle corsie laterali e segnatamente in quella destrorsa, ove i limiti di Lichtsteiner nello “stretto” si confermavano abbacinanti, e la sua proclività al contenimento non giustificata dall’opposizione del contraltare di fascia, Lucas Digne, unicamente dedito a mansioni difensive.
Tuttavia, l’ombre del partido, non è stato il subentrante Cuadrado, giacché la magica combinazione vincente che ha spezzato l’equilibrio nel punteggio è scaturita dai talenti più fulgidi alla corte di Madama: assist di Pogba da vero trequartista… e sinistro perfido del “Sivorino” in buca d’angolo. Un vero e proprio inno alla Joya diventato poco dopo standing ovation allorché la guida tecnica ha inteso avvicendarlo con Morata.
Il feeling tra i due fenomeni in corso di fioritura e la loro letalità nei pressi della terra che scotta conferma una volta di più quanto sosteniamo da mesi: chi, per grazia di Eupalla, è dotato di piedi raffinati, deve essere posto in condizione di sfoggiarli là dove serve di più e non costretto a graffiarseli in un gravoso lavoro di copertura e/o ricucitura della manovra.
La polvere di stelle illuminerà giustamente i protagonisti più attesi, ma non meno determinante ai fini dell’esito favorevole è stata la prestazione offerta da Marchisio, autore di un inizio gara addirittura sontuoso pure in termini d’appariscenza.
Quanto alla Lupa, è apparsa più solida rispetto alla scombiccherata orchestrina diretta dall’esautorato violinista francofono, ma distante anni luce dalle potenzialità che le si accreditavano nei mesi caldi e non sorprende che gli scricchiolii più sinistri di una “chiesa” mai consacrata siano stati prodotti dagli ectoplasmi di coloro che avrebbero dovuto farla diventare basilica: Džeko e Salah.
Pur esiziale ai fini della rincorsa al trentaquattresimo scudetto, il confronto con l’ex banda Garcia è già materiale d’archivio, Il calendario ne impone una rapida metabolizzazione perché all’orizzonte si stagliano le sagome di Robertino dal ciuffo e dei suoi prodi ( “p” rigorosamente minuscola ), relegati a posizioni di classifica più consone al loro effettivo valore dal perentorio incedere delle due battistrada e, proprio per questo, abbarbicati alla speranza di proseguire il cammino in Coppa Italia come cozze a uno scoglio.
La Juve però è in salute, ben lungi dall’idea di allentare la presa anche in detta competizione e molto motivata a replicarne la conquista, dato che la doppietta nel trofeo minore non le riesce dalla lontanissima stagione 1959-’60, anni in cui annoverava tra le sue file, guarda caso, il Sivori originale.
A prescindere dalle note ragioni per cui l’Inter è diventata l’avversaria più in uggia all’ombra bianconera della Mole, quindi, poiché di semifinale si tratta, l‘appuntamento con la vittoria non ammette deroghe e agevolerebbe sia la partita di ritorno che il diritto alla disputa di un ultimo atto meno impegnativo a priori e da gustarsi, con calma, a maggio.
Rispetto ad altri obiettivi, la Tim Cup, per quanto succulenta, ha la valenza una briciola, ma la zebra mannara non può esimersi dallo spazzolarla, è nella sua natura, quella di chi non molla mai nulla, “finoallafine”.
Così dev’essere, così sia!
Ezio MALETTO ( Twitter @EzioMaletto )