Succede anche ai più grandi, ai fuoriclasse. Ai calciatori che, nel loro repertorio, dispongono di capacità tecniche fuori dalla norma e che spesso consentono di sfoderare colpi in grado di risolvere le partite più dure e ingarbugliate.
GIOVENTU’ DI TALENTO – Succede di buon grado che, al principio di una promettente carriera, tutto appare come una discesa priva di ostacoli, tanto che percorrerla alla massima velocità non sembra comportare mai grossi rischi di cadute. O battute d’arresto. Quando l’età è dalla tua parte, difatti, così come le giocate, e la testa è sgombera dagli eccessivi ordini tattici impartiti dal mister durante la settimana e pure nel bel mezzo della partita, allora risulta “facile” fare la differenza, o rendersi protagonisti di prestazioni spesso al di sopra della media. Di quelle che fanno innamorare i tifosi e spingerli a schierarsi contro le voci di mercato che ti riguardano, e che ti vorrebbero lontano dalla loro squadra. A quel punto divieni un idolo, una gemma da difendere e custodire gelosamente dagli assalti di realtà divenute gradasse, che dispongono dei denari sufficienti per strapparti dal luogo in cui sei diventato qualcuno, probabilmente il più forte al mondo nel tuo ruolo. Certo, è una favola dedicata a pochi, che vale solo se possiedi doti tecniche impressionanti. Se ti chiami, per esempio, Paul Labile Pogba.
POGBA FENOMENO TUTELATO – L’asso francese classe 1993 sboccia alla Juventus dopo la grande sfiducia che il Manchester United manifesta nei suoi confronti, pensando che il polpo non fosse tutto sommato indispensabile per il futuro della squadra. A Pogba dunque non rimane che partire in cerca di fortuna nella città della Mole, entrando a far parte di una squadra rinata sotto le urla e le convinzioni trasmesse da Antonio Conte, che hanno portato i bianconeri a vincere il primo Scudetto post Calciopoli. La piovra trova così un gruppo coeso ad accoglierlo, già vincente, dove cresce imparando dai veterani in tutta tranquillità. Ma Pogba non nasce per stare a guardare a lungo, per cui le prime occasioni concesse da Conte divengono propizie per sprigionare il talento enorme che alberga dentro di lui. Un talento fatto di gol dalla distanza che esaltano, e che generano il Pogboom. Le sue giocate fanno sgranare gli occhi, i suoi recuperi e le progressioni mettono in evidenza una sconcertante forza fisica, che sovrasta quella degli avversari. Va cosi sino alla finale di Champions contro il Barcellona. Ma poi qualcosa cambia.
SENZA ASSILLI DA LEADER – In verità, anche Pogba aveva già conosciuto la giocata infelice, che talvolta ha fatto sbuffare tecnici e pubblico, causa leziosità. Nulla di eclatante certo, anche perché, più che altro, ciò rappresentava l’eccezione alla regola, ed il personale regolamento di Paul ha sempre privilegiato quel gioco “senza pensieri”, determinante per dar sfogo al suo estro. Del resto fra Tevez, Buffon e Pirlo, chi deteneva le redini e le preoccupazioni di squadra già c’era. Da luglio non più però.
IL PESO DELLA CRESCITA – Pogba si ritrova, dunque, tutto d’un tratto a reggere da solo l’ossatura di una squadra blasonata come la Juventus, giunta a sfiorare il sogno di realizzare persino la tripletta campionato-coppa Italia-Champions un paio di mesi prima. Due mesi, in cui i veterani su cui la squadra ha sempre fatto affidamento nei momenti delicati hanno salutato ed abbandonato quello stesso spogliatoio condiviso negli ultimi anni col talento francese, adesso costretto a responsabilizzare i suoi colpi da campione. Le aspettative di una finalista di Champions League del resto sono cresciute nel frattempo, e la famosa asticella si è finalmente alzata. Senza Tevez e Pirlo, infatti, e col solo Buffon rilegato troppo lontano dal fulcro di gioco, il fardello delle responsabilità ricade tutto su Pogba, che nel frattempo indossa la maglia delle maglie, la più pesante che ci sia: la numero 10. Al di là delle eredità pesanti – e scomode – portare sulle spalle il numero 10 della Juventus significa esserne l’inventore del gioco, ma anche il terminale, il leader, l’uomo di maggior classe. Da quel momento Pogba diviene tutto questo, in un certo senso ufficialmente. La Juve (e l’Adidas) puntano molto su di lui, rispettivamente per vincere e vendere, ed anche in virtù delle grandi aspettative riposte in lui caricarsi in groppa l’intera squadra non è facile. Non lo è affatto.
CAMBIO DI MARCIA – Il francese inizia quindi a steccare troppe partite, a perdersi in fronzoli che a volte rallentano persino la manovra dei compagni. Lui vorrebbe giocare come sa. Le responsabilità dei tempi di gioco, degli incitamenti, dell’essere comunque “obbligato” a rendersi incisivo in ogni azione d’attacco portata avanti da Madama lo sfinisce. Psicologicamente ne risente parecchio, anche perchè le critiche non tardano ad arrivare, specialmente visti i magri risultati portati a casa da quella ormai diviene la “sua” Juve. Ma la Juve non è di Pogba, la Juve è della Juve. E’ degli undici giocatori che scendono in campo, del suo tecnico che li guida e li allena, ma anche del suo staff e, soprattutto, del presidente e dei vertici societari. Pogba lo comprende, ad un certo punto fa spallucce e scende in campo scrollandosi poco a poco di dosso l’opinione generale che lo ha reso schiavo ad inizio campionato di se stesso, e di quella dieci divenuta ulteriore causa di polemiche sterili. Inizia col non strafare per il solo scopo di giustificare i tanto chiacchierati 100 milioni di valutazione, di non esagerare nelle giocate per placare i primi scettici, che non hanno esitato a riporre nel dimenticatoio dei ricordi lontani le sue gesta. Pogba ricomincia a macinare gioco, il suo, ripartendo dalla sconfitta di Reggio Emilia come tutta la Juventus. Gioca senza strafare, senza apporre fronzoli alle prestazioni, senza pensare a quale numero di maglia rendere conto. I cento milioni? Che si chiacchieri pure, perché nel frattempo il polpo è tornato ad essere decisivo sfornando assist decisivi (per Lichsteiner nella trasferta tedesca contro il Gladbach, per Sturaro nel raddoppio a Palermo). Alimenta azioni pericolose con colpi di classe (il tacco che lancia Evra nell’azione in cui Cuadrado pareggia contro la Fiorentina, o la travolgente azione che porta all’assist di Alex Sandro per Mandzukic contro il City), e sigla col importanti come nel derby su calcio di punizione e nell’ultima gara di campionato a Carpi.
Pogba è oggi più maturo, più responsabile nel creare gioco. Più propenso e dedito al sacrificio. Crescerà ancora, perchè la maturazione di un ragazzo di 22 anni non può essere già completa, ma ha già imparato ad essere determinate anche in silenzio, quasi di soppiatto, come se nessuno dovesse accorgersi delle sue giocate. Ed a questa Juve dalla quadratura ritrovata piace cosi.
Rocco Crea (@Rocco_Crea)