Essere contro a prescindere, è sbagliato. Essere sempre a favore, pure. E quando si parla di calcio, spesso, si rischia di cadere in uno dei due eccessi. È nella natura dello sport più amato dagli italiani: la chiacchiera da bar. Nella tifoseria juventina, l’abitudine di schierarsi a ogni costo, si è tradotta in una spaccatura: contiani da una parte, allegriani dall’altra. Spaccatura che la finale di Champions League aveva ricomposto, ma quest’inizio stentato ha drasticamente riaperto.
BISOGNO D’EQUILIBRIO – Non mi soffermo sull’inutilità di un tale frazionamento. Conte ha i suoi pregi e difetti, Allegri pure. È innegabile che il tecnico toscano abbia apportato dei miglioramenti alla macchina quasi perfetta costruita dall’attuale ct azzurro, così come è evidente che oggi abbia dei problemi a mettere insieme un gruppo totalmente nuovo. Ma ciò non vuol dire che in pochi mesi, il buon Max debba passare da eroe a scemo del villaggio. Allo stesso tempo, Conte non è certamente il salvatore della patria. Serve equilibrio.
In nome di quest’equilibrio, necessario almeno per chi è chiamato a commentare questo sport, va ricordato che in diversi casi la Juve è stata alquanto sfortunata. E il calcio, inutile ricordarlo, vive di episodi. Ma, allo stesso tempo, il fato avverso non può e non deve essere unico responsabile di una situazione ormai preoccupante. Le colpe dei protagonisti ci sono.
LA STRADA PER IL SUCCESSO – Cos’è che manca a questo gruppo? Attenzione, parlo di gruppo. Perché che agli undici in campo manchino i gol di Tevez, anche più di Pirlo e Vidal, è palese. A questo gruppo, dicevo, manca altro: la consapevolezza di essere più forte, di poter schiacciare l’avversario. Che non nasce da un giorno all’altro, ma con le vittorie. Ma non solo. I tre punti sono la migliore medicina contro ogni malanno, ma la strada per il successo va costruita.
COSÌ, NO – Quello visto contro il M’Gladbach, però, non è il modo giusto. Ci sono delle attenuanti, per carità: la partita era di grandissima importanza, il passaggio del turno in Champions vale tanti milioni di euro e un punto può anche andare bene, tutto sommato. Il succo del discorso sta in quel “tutto sommato”.
Il modulo senza un vero punto di riferimento offensivo – una sorta di 5-3-1, molto più vicino a un 5-4-0 – visto negli ultimi venti minuti in Germania può avere, fino a un certo punto, un senso logico – si giocava in dieci -, ma nell’ottica della costruzione della squadra lancia un messaggio sbagliato: “Siamo più deboli, abbiamo paura di giocarcela”. Il Borussia è un signor avversario, senza dubbio; la Juve, però, non può permettersi di giocare venti minuti – e sottolineo venti – in quel modo. Catenaccio puro, da squadra provinciale.
JUVE, DIVENTA GRANDE – Sarebbe stato comprensibile farlo sul campo del Barcellona, tanto per fare un esempio, ma con tutto il rispetto il M’Gladbach non può far così tanta paura. Dal cambio di modulo in poi è stata solo sofferenza ed è grazie a Buffon se si è portato il punto a casa. Sarebbe stato più logico lasciare almeno Morata in campo, per provare almeno qualche ultimo squillo. La Signora deve raggiungere un certo status in Europa, per non far sì che l’esperienza di Berlino sia una comparsata. E per diventare davvero grande si passa anche da queste piccole cose.
Felice Lanzaro (@FeliceLanzaro)