La legge è uguale per tutti, quindi (in teoria) lo è anche la giustizia. Senza affrontare questo spinoso argomento, ci limitiamo a constatare che probabilmente la giustizia sportiva non rientra in tal novero. Malpensanti? Vorremmo esserlo, in tutta franchezza, ma le cronache si ostinano a sbatterci sul muso una realtà che conferma di continuo i nostri “cattivissimi” pensieri.
INIBIZIONE=RADIAZIONE. Facciamo un passo indietro: tra il 2010 e il 2011, successivamente alla “scoperta” delle intercettazioni che coinvolgevano mezza serie A (Inter in primis), ben più gravi di quelle riguardati gli allora dirigenti della Juventus, i vertici della Figc si pongono il problema della radiazione di Moggi e Giraudo. Implicita nella inibizione di 5 anni stabilita al termine del processo-farsa del 2006? Giùlemanidallajuve.com racconta cosa accadde: si aprì un dibattito caratterizzato dalla vera e propria invenzione di un iter processuale ad hoc da parte della Federazione: tre gradi di giudizio, due riservati alla Federazione stessa e il terzo all’Alta Corte del Coni. La quale Alta Corte del Coni, in data 27 gennaio 2011, aveva risposto alla Figc in merito alla richiesta di un parere sulla radiazione di Moggi, Giraudo e Mazzini: “il provvedimento di preclusione deve ritenersi implicito…”, è la summa della risposta.
GIUSTIZIA “CREATIVA”. Seppur vana, la brillante difesa dell’avvocato Prioreschi battè sulle prove già esistenti nel 2006 ma bellamente ignorate, mentre Palazzi si appellò ambiguamente alle sentenze rese nel 2006 come àncora per la dimostrabilità delle responsabilità dell’accusato. Il Procuratore Federale riuscì addirittura ad appigliarsi alla sentenza-Giraudo del primo grado del processo breve (2008) e alle richieste dei pm al processo di Napoli, che non sarebbe arrivato alla sentenza di primo grado prima di novembre. Roba che al confronto le piroette di Zidane erano giochi da ragazzini, giustizia che più “creativa” non si potrebbe.
IL GRAN FINALE. Il tutto per giungere all’obiettivo di radiare Moggi e Giraudo, raggiunto il 15 giugno del 2011 e sottolineato dalla Commissione Disciplinare con una frase che, una volta scoperchiato il vaso di Pandora di Calciopoli, fa rabbrividire: “Piena e concreta attitudine a falsare la classifica attraverso una continua opera di condizionamento del settore arbitrale“. Nessun arbitro comprato, nessuna partita comprata, nessun risultato condizionato da ammonizioni “pilotate”, nessun sorteggio truccato, nessuna conversazione “svizzera” intercettata. Ma tutto ciò alla (in)Giustizia Sportiva non interessa.
INTERPRETAZIONI AD HOC. Alla (in)Giustizia Sportiva ha interessato ancora meno il recente caso di due presidenti, Pulvirenti e Manenti. Il primo, ex numero uno del Catania, ha addirittura confessato il “listino prezzi” delle partite comprate per non far retrocedere la sua squadra. Il secondo, nei giorni scorsi, è stato condannato “per avere tentato, utilizzando i Pos della società fallita, di versare nelle casse sociali della stessa somme di denaro di provenienza illecita tramite carte di pagamento clonate e per aver tentato di ricevere somme di provenienza illecita presso la Banca Monte dei Paschi di Siena mediante frodi informatiche con l’ausilio di una organizzazione criminale in ciò specializzata”. Risultato? Cinque anni di inibizione per entrambi, ma nessuna radiazione, ci mancherebbe. Di clamore mediatico, naturalmente, nemmeno a parlarne.
Nelle aule dei tribunali viene spesso raffigurata una bilancia, che dovrebbe simboleggiare l’equa applicazione della legge: evidentemente gli organi della (in)Giustizia Sportiva italiana si riuniscono in qualche luogo dove di bilance non v’è traccia.
Gennaro Acunzo
This post was last modified on 13 Ottobre 2015 - 11:23