«Giocare nella Juventus è stata un’esperienza che ha indelebilmente marchiato la mia vita. Forse sbaglierò, ma il fatto di essere stato uno della grande Juventus mi fa sentire, ancora adesso, importante, quasi di un livello superiore. Anche se so che i meriti di tutto ciò sono in minima parte miei». Parole pronunciate da Flavio “cuore matto” Emoli, che ha appeso le scarpe al chiodo della vita proprio questa sera. Aveva 81 anni: nato a Torino nel 1934, vanta 240 presenze con la maglia della Juventus in 8 stagioni. Tre scudetti vinti ((1958, 1960 e 1961) e due Coppa Italia (1959 e 1960): ma soprattutto, l’uomo dai mille polmoni al servizio della grande Juventus di Boniperti, Charles e Sivori. “Antenato” di Furino e di tutti i mediani destinati a correre alle spalle dei fantasisti, gli venne diagnosticata una malformazione congenita di cui i medici si accorsero quando aveva 23 anni.
«Il responso di quell’esame lasciava poche speranze – avrebbe detto Emoli – tant’è che, tre giorni dopo, il dottor Umberto venne al campo e mi disse che, forse, avrei dovuto smettere di giocare. Fu un colpo tremendo. I medici, che all’inizio avevano erroneamente individuato gli esiti di un infarto, in seguito si resero conto che, quell’anomalia, spariva quando il cuore era sotto sforzo, ma la nomea mi è rimasta per tutta la carriera».
Lo sguardo era duro, lo era sempre stato: perché i figli degli operai del dopoguerra avevano poco da ridere, sin da bambini. Correva alle spalle di Sivori, recuperava palloni, da mediano divenne terzino destro di grande affidabilità ed efficacia: «Il buffo era che, mentre Boniperti mi spronava sempre ad avanzare, Ferrario cercava in tutti i modi di frenarmi; insomma, ero il classico uomo di spinta, il maratoneta di centrocampo in genere ben preparato fisicamente, tanto che alla fine degli allenamenti rimanevo regolarmente in campo per effettuare allunghi e cross continui a favore di Charles, che voleva perfezionare il colpo di testa. Passavo, poi, per un duro e cattivo, mentre non sono mai stato squalificato per gioco scorretto; se ero aggressivo lo ero all’inglese ed entravo sull’uomo solo quando c’era il pallone di mezzo».
Flavio Emoli era un duro dal cuore buono, era uno di quei volti da figurine di cui facevano incetta i ragazzini degli anni ’60: se fosse stato un attore, avrebbe probabilmente recitato in un western di Sergio Leone con cappello in testa e cicatrice in volto. La Juventus gli ha dedicato un epitaffio, ripreso da un articolo di “Hurrà” del 1963: “Era il prototipo della serietà e della modestia personificate. Un raro esempio di virtù da additare alle future generazioni calcistiche”. Chi ha scritto la storia della Juventus non muore mai: grazie di tutto e buon viaggio, Cuore Matto.
Gennaro Acunzo
This post was last modified on 10 Dicembre 2021 - 11:39