Il dubbio è lecito, legittimo, d’una chiarezza fuori dal normale. Ed è fatto di rabbia, di sangue amaro e poco raziocinio. Ma sì, in fondo l’avranno pensato tutti. E poi non è mica una domanda oscena. Ecco, allora la spariamo: cara Juve, e fosse solo “sfortuna”? Non in toto, eh. Però in parte, in buona parte.
E se fosse solo “sfortuna”? Analizzando il periodo di continua debacle, vien fuori una sorta di magra consolazione.
INIZIO SBILENCO – Pensateci: con l’Udinese il monologo fu tutto di matrice bianconera, e stavolta nulla a che vedere con i friulani. Con la Roma? Sconfitta meritata, “condivisibile” per avversari e tempo storico. Ma col Chievo il fattore “S” non cambia: al primo squillo dei clivensi, la Juve deve arrendersi. Svantaggio recuperato solo nel finale, vero: e forse qui ristagna l’intoppo più grande. Con quella mancanza di fame che sembra portatrice di ogni male. E di ogni “sfortuna”, s’intende. La stessa capace di salvare Allegri a Genova, con rigore ed espulsione (giustissimi) a favore, quasi volti a ripagare i paradossi d’inizio stagione. La stessa che però si rifà con gli interessi: perché col Frosinone lo stop è brusco, al limite dell’intollerabile. Non nei modi, non nel gioco. Ma nella “sfortuna”.
UNA SORTA DI SORTE – Sia chiaro: la malasorte sarebbe solo da “condimento”. È che la truppa bianconera ha perso molto, forse troppo. E specialmente nei suoi vecchi punti di forza: lì, dove la personalità di Pirlo era un toccasana per i match ingarbugliati; lì, dove i guizzi di Tevez riuscivano a chiudere pratiche fastidiosamente pericolose; lì, dove la generosità di Vidal sapeva dar manforte dal primo all’ultimissimo secondo. Oggi la situazione è cambiata. Anzi: si è radicalmente trasformata. Ma non per forza in qualcosa di peggiore, al limite in un prodotto diverso.
E allora: come fare? Semplice: non demoralizzarsi. E poi riprendere la marcia, senza far finta che non sia successo niente, bensì tenendolo bene a mente. Poi ovvio: la Juventus deve trovare tanti altri punti di contatto che al momento mancano come il pane. Però con la consapevolezza di dover pazientare, di dover aspettare come tutti i mortali una ruota che gira.
Del resto, è risaputo: gli errori restano errori. E non chiudere una partita equivale ad un terno secco giocato sulla ruota della dea bendata: puoi raccogliere, o meno. Tocca alla sorte. Anche nel calcio, soprattutto nel calcio.
Cristiano Corbo
This post was last modified on 25 Settembre 2015 - 13:04