“E cerco ovunque sia, come chiunque cerca una via, penso di andare via ma preferisco stare qua, ci spero ancora un po’, so che combatterò, alla ricerca di un mondo migliore”. Ed è proprio questo il ruolo che hanno gli artisti, i giornalisti, e più in generale ognuno di noi: fare qualcosa per abbattere ogni tipo di barriera, sia essa culturale, sociale, economica. Napoli–Juventus, purtroppo, è una gara che troppo spesso porta con sé diatribe e schermaglie che con il vero senso calcio hanno ben poco a che fare. Per avvicinarci al big match di sabato sera, noi di SpazioJ abbiamo contattato in esclusiva Valerio Jovine, uno dei più apprezzati musicisti del panorama partenopeo.
“Fulmini dal cielo” possiamo definire i tre squilli del Napoli contro Bruges e Lazio con 10 gol in 2 gare, poi la nuova battuta d’arresto con il Carpi dopo un avvio non esaltante contro Sassuolo, Sampdoria ed Empoli. Che stagione ti aspetti dagli azzurri?
«Penso che ad oggi abbiamo visto qualcosa, ma per fortuna non tutto. Sicuramente i “fulmini dal cielo” visti con Bruges e Lazio sono esaltanti, qualunque tifoso si esalterebbe per dieci gol fatti in due partite, e il Napoli può essere anche questo, con la giusta convinzione e il giusto equilibrio, però c’è da pensare che il campionato italiano è molto diverso dall’Europa League: in Italia, si gioca molto più chiusi, ci sono squadre come il Carpi che per 90 minuti giocano in difesa. Questo è stato un problema che Benitez non è mai riuscito a risolvere, anche per la sua visione più internazionale, mentre può darsi che finalmente Sarri potrà darci una mano contro le piccole: crescendo con le piccole possiamo crescere tanto, perché abbiamo campioni che si esaltano contro le grandi. Io poi sono tifoso del Napoli, quindi ci spero sempre, ma penso che andiamo incontro a una bella stagione».
“Ognuno con la sua passione può decidere e cagnà sta situazione, pecché stu munno è o nuosto e mò nuje c’ho venimm a piglià, non aver paura no, non è reato, da quando sono nato la verità è solo una bugia, non è reato, no chesta voglia e cagnà: la rivoluzione”. Esistono rivoluzioni e rivoluzioni, ogni tanto nella vita fa anche bene cambiare tutto e ripartire da zero. È un po’ quello che ha fatto la Juventus quest’anno: pensi che i bianconeri siano ancora competitivi quanto la scorsa stagione, o hanno perso qualcosa? In ottica scudetto, cosa cambia?
«In ottica scudetto può cambiare tanto, ci sono alcune squadre che sono cresciute, e tanto, vedi l’Inter. La Juve ha cambiato, c’è stata una rivoluzione, ma non tanto nel cambiamento dei giocatori: quando gente come Tevez e Pirlo decide di andare via, quella è la vera rivoluzione. Sostituire Pirlo è impossibile, un po’ come Xavi al Barcellona. Sarà più complicato rimanere ai vertici, almeno in Italia, perché come dicevo prima il calcio internazionale differisce dal calcio italiano».
“E chisto è ‘o reggae, ‘o reggae e Maradona […] Quanno è arrivato ‘o stadio era chino, comm nu santo, comm nu rrè”. Maradona è probabilmente uno dei simboli di Napoli e del Napoli nel mondo. Quali sono i tuoi principali ricordi legati a questo personaggio?
«Io ho potuto scrivere una canzone come “‘O reggae e Maradona” perché ho avuto la fortuna di amare il calcio e vivere in un’età in cui i ricordi potevano essere conservati, e l’altra fortuna è stata averlo a Napoli. I miei ricordi su Maradona sono legati a tanti momenti, tanti gol, ma quelli che per me sono indelebili sono quelli della semifinale e della finale di Coppa Uefa, quando mio padre mi portò allo stadio a vedere le partite: abbiamo portato la vecchia Coppa Uefa a Napoli ed è stata una cosa incredibile. Poi anche i festeggiamenti per gli scudetti sono ricordi da portare con sé, nel proprio animo di tifoso. Ma ce ne sono tanti: mi ricordo benissimo la radiocronaca della partita contro il Verona, il cronista non riusciva a spiegare quel gol da centrocampo, ma potevi iniziare ad immaginarlo e dovevi aspettare due ore fino a 90° minuto per vedere quella magia, una delle più belle».
“So’ Pakistano, palestinese, je so tale e quale a n’albanese, so’ de Torino, so’ de Caivano, so’ cittadino ro munno: Napulitan”. Quest’universalità, purtroppo, sembra non valere nel mondo del calcio, almeno quando si parla di juventini e napoletani. Finché si rimane nei confini dello sfottò calcistico, tutto è lecito, viceversa, se si sfocia in violenza e discriminazione, c’è da ragionare. Cosa ti senti di dire a riguardo?
«Abbiamo preso spunto da una delle mie canzoni di maggior successo, “Napulitan”. Per me combattere il razzismo e l’ignoranza che veicola, può avvenire tramite una canzone, attraverso la cultura e, purtroppo, molto spesso nel mondo del calcio la cultura non esiste. Quella mia canzone parla di razzismo, ma si può riferire a tanti mondi diversi e siccome io amo tantissimo il calcio, la violenza e l’ignoranza che ho visto ultimamente in questo mondo mi ha colpito fortemente e anche per questo è nata una canzone come “Napulitan”. Ho un ricordo di una delle ultime partite giocate contro la Juventus: stavo in tribuna, con mio fratello, eravamo al confine col settore ospite, dove a un certo punto arrivarono gli juventini; erano vari club di juventini calabresi, un popolo che amo tantissimo, e stavano tutti quanti con le mascherine. Sapere che quelli non erano juventini di Torino, che sfottevano noi napoletani, ma gente del sud come me, è qualcosa che ti colpisce fortemente, per la loro ignoranza: ognuno dovrebbe usare le proprie armi per combattere tutto questo. Ecco, io l’ho fatto con una canzone, ma non solo con “Napulitan”. Per me, il calcio è uno sport bellissimo, che ti lascia sognare, uno dei miei sogni è vedere il calcio pulito, dove si tifa la propria squadra, si sfotte l’avversario quando perde, ma senza creare un contrasto così grande tra la gente. “Simmo tutti quant tal e quale sotto a chistu cielo”, dovrebbero saperlo tutti».
“Questa è la mia identità, sono nato proprio qua, rint’ e viche e chesta città, nel frattempo mi sento cittadino del mondo, addo’ stong stong stong semp ccà…”. Secondo te, è possibile un mondo senza alcun tipo di barriere, che siano esse sociali, economiche, territoriali o culturali?
«Volendo rispondere a questa domanda guardando quello che stiamo vivendo, credo che tutto questo potrà succedere, ma è qualcosa di molto lontano, non so se riusciremo a vedere un mondo diverso. Sicuramente, però, quello che può essere il nostro ruolo è combattere tutto questo e comunque sapere che l’emigrazione dei popoli, come ora succede con i popoli dell’Africa, non è qualcosa che si può combattere: è una cosa storica, che succede da sempre, i popoli si mischiano e cambiano, si evolvono. Vent’anni fa, in Italia, quando vedevi un nero sembrava strano; oggi invece ce ne sono milioni, ci sono bambini che portano il colore sia di chi viene dall’Africa ma anche di chi viene da Napoli, comincia a nascere un mix tra le popolazioni. Se cinquant’anni fa esistevano gli africani, gli italiani, i francesi, ora esistono questi mix, che sono una novità e la novità nel mondo è la cosa più bella che ci possa essere».
“La mia è una città di musicanti, di suonatori ca nun ha mai fernut e sunnà…”. Qual è il rapporto di Valerio Jovine con la Napoli di oggi, dal punto di vista musicale e sociale?
«Mi sono sentito sempre molto dentro alla musica napoletana. Ho dovuto combattere, ma sono già anni che la mia musica, per esempio, è stata accettata di buon grado dalla storia della musica napoletana, come Tony Esposito, Enzo Avitabile e tanti personaggi che ci hanno adottato un po’, perché credono in noi. Ho uno splendido rapporto con buona parte dei musicisti napoletani: faccio l’esempio di Clementino, che, oltre a essere un artista che ammiro, è un amico e Ntò, ex Co’ Sang. Ma ovviamente anche con Zulù dei 99 Posse, con lui ci sentiamo addirittura familiari; la 99 Posse è la mia famiglia. Il rapporto con la Napoli musicale, la Napoli che prova a fare qualcosa di buono, è ottimo».
“Fratello fammi fare, ho l’ambizione di portare la mia musica al di là del mare. Voglio vedere come va a finire, e resto sveglio per seguire tutto quanto il finale…. “. Quali sono i progetti per il futuro di Valerio Jovine? E il momento più bello della tua carriera?
«Ricordare un momento bello della mia carriera potrebbe sminuirne altri. Ho sempre considerato quello che ho fatto fino a oggi un viaggio, un viaggio senza finale: il finale sarà l’unica cosa che non deciderò. Scrivere canzoni come “Napulitan”, “‘O reggae e Maradona”, “Me so scetato e tre”, “Contrabbandieri d’amore” e vedere una risposta tanto grande da parte della gente è la cosa più bella per un ragazzo che inizia a fare musica per passione, amando la musica e il posto da dove inizia a farla. Ma sarebbe sempre sminuire, perché per esempio il mio viaggio con i 99 Posse, durato cinque anni, è stata una cosa bellissima, che mi ha portato tantissima esperienza. Così come il viaggio a “The Voice”, che è stata una cosa molto apprezzata, ma riesco a trovare ancora qualche critico che dice “mi hai deluso” o “ti sei venduto”, mentre io faccio lo stesso che facevo prima, pur avendo avuto una forza mediatica maggiore grazie a quel programma: io non rinnego niente, anzi sono felice di tutto. Dico una frase magari banale, ma tornando indietro rifarei tutto, anche i miei errori. Quello che ho fatto di bello lo porto nel cuore, ma mi spinge sempre a fare qualcosa in più: se raccontassi quanti progetti ci sono in cantiere, sono innumerevoli. Una cosa che mi fa piacere, anche se non posso ancora dire di cosa si tratta, è che quest’anno ho lavorato alla colonna sonora di un film. Non l’avevo mai fatto, così come non avevo mai fatto televisione a livelli tanto alti come a ‘The Voice”. Nella mia vita ho sempre voglia di imparare qualcosa e ripartire da zero con un carico d’esperienza maggiore».
Intervista a cura di Corrado Parlati