In teoria potrebbe fare ciò che vuole. Destro, sinistro, colpo secco, colpo ad effetto. Eppure Paul Pogba s’è umanizzato di colpo: ha evidenziato i suoi (appena) ventidue anni, ha marcato la sua precoce maturazione calcistica farcita di lacune. No, non tattiche: ma caratteriali. Non che non sia capace di decidere una partita, sia chiaro: è che qualcosina manca, e lui lo sa. Ora deve solo accettarlo.
Col Portogallo il suo talento ha brillato in un nano secondo: il tempo di una giocata, di sentirsi nuovamente sulle nuvole dei grandi del calcio. Poi è cascato, giù: piombato al suolo facendo a pugni col suo ego. Ha cercato la giocata, l’ha fatto uno, due, tre volte. Nulla. Fortuna che ci ha pensato Valbuena a risolverla contro CR7 e compagni, sfortuna che Fekir – attualmente anche più importante in termini mediatici – ne abbia per sei mesi e che lasci a Paul il trono di indiziato numero uno se le cose dovessero andar male.
Ecco: l’inizio con la Juve ha praticamente creato un palcoscenico di ombre sul centrocampista. Troppo importante quella dieci? Chiacchiere. Troppo presto per dargli un ruolo da leader? Anche qui: ciance. Ha dimostrato di meritarlo a pieno, di poter vestire i panni del supereroe con la palla al piede. Adesso dovrà semplicemente scrollarsi di dosso un po’ di pressione, e dovrà farlo con l’umiltà che contraddistingue chi vuol passare alla storia. Perché la storia resta sempre la stessa: c’è una testa da abbassare, e tanto da pedalare. Perché in teoria potrebbe davvero fare ciò che vuole: destro, sinistro, colpo secco, colpo ad effetto. Perché in fondo resta pur sempre Paul Pogba: quel ragazzino dall’infinito talento che ha giocato troppo presto a diventare grande. E che ora l’ha capito: non serve un dribbling o un colpo secco per diventare qualcuno. Serve vincere. E lui sa come si fa…
Cristiano Corbo
This post was last modified on 5 Settembre 2015 - 23:42